
domenica 28 giugno 2009
I russi e i tedeschi

venerdì 26 giugno 2009
Barack Metternich

To some, Barack Obama might seem like a modern-day JFK, FDR, or Lincoln. But when it comes to foreign policy, his roots go a little further back: to Prince Klemens von Metternich, foreign minister of the Austrian Empire from 1809 to 1848 and the patron saint of multilateralism. Sure, Obama is a liberal democrat while Metternich's autocratic tendencies helped spark the revolution of 1848. But Obama's cosmopolitan approach to diplomacy and his constant invocation of "common interests" when dealing with governments from Caracas to Moscow to Tehran are vintage Metternich. This diplomatic impulse—derived in both cases from a personal taste for legalistic moderation—is admirable, but problematic, and Metternich's own successes and failures reveal why.
Like his 19th-century predecessor, Obama has had early success in building coalitions, as at the London G-20 summit in April when he encouraged a modern-day Concert to pledge $1.1 trillion toward stabilizing the economic crisis and helping out poorer countries. But sooner or later Metternichian diplomacy disappoints its practitioners—not with what it does, but what it doesn't do. It's relatively easy to coordinate actions between countries that already want the same thing, as with the 1803-1815 Napoleonic Wars, when Metternich ultimately cemented an anti-French alliance based on a shared fear of Napoleon. When common goals don't exist, however, Metternich-style diplomacy can't create them. Take 1866, when Prussia—unconvinced that it shared the same goals as the rest of Europe—defeated Austria for leadership of the Germanic states. Austria left the ranks of great powers, a victim of its own belief in the tenacity of shared interests.
Today, Obama faces challenges that are no less worrisome. Consider what might happen if the world economy heals quickly. Some countries may decide they no longer need to play nice, and shared interests like the ones that propelled the G-20 negotiations will evaporate. Another problem is subtler but more insidious: Those who follow in the Austrian statesman's footsteps can inherit a bias for stability and miss out on opportunities for dynamic change. Such myopia prevented an earlier Metternichian, Henry Kissinger, from envisioning the Soviet Union's collapse. Unless Obama comes up with a foreign policy that goes beyond the Austrian prince's rigid multilateralism, he too might not end up seeing the world clearly.
da FOREIGN POLICY.COM
giovedì 25 giugno 2009
Il più vantaggioso dei vantaggi
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"Oh, dite, chi per primo ha dichiarato, chi per primo ha proclamato che l'uomo fa delle porcherie solamente perchè non conosce i suoi veri interessi? e che, a illuminarlo, ad aprirgli gli occhi sui suoi veri, normali, interessi, l'uomo subito smetterebbe di fare porcherie, subito diventerebbe buono e nobile, perchè essendo illuminato e comprendendo i veri suoi vantaggi, vedrebbe appunto nel bene il proprio vantaggio, ed è noto che nessuno può agire scientemente contro il proprio vantaggio, e, in conseguenza, per così dire di necessità si metterebbe a fare il bene?
Oh, pargoletto! Oh, puro innocente bambino! Ma quando mai, in primo luogo, è accaduto, in tutti questi millenni, che l'uomo agisse unicamente per il solo proprio vantaggio?
Che fare dei milioni di fatti che testimoniano come gli uomini scientemente, cioè, comprendendo appieno i loro veri vantaggi, li lasciassero in secondo piano e si buttassero su un'altra strada, al rischio, all'avventura, da nessuno e da nulla costrettivi, ma come se non desiderassero appunto solo la strada indicata, e ostinatamente di loro arbitrio se ne aprissero un'altra, difficile, assurda, cercandola poco meno che nelle tenebre?
Dunque vuol dire che per loro questa ostinazione e questo arbitrio erano effettivamente più piacevoli di ogni vantaggio... Il vantaggio! Che cos'è il vantaggio? E poi, vi assumete voi di definire con perfetta esattezza in che cosa precisamente consista il vantaggio umano? E se capitasse che il vantaggio umano, a volte, non solo potesse, ma perfino dovesse appunto consistere nell'augurarsi in qualche caso ciò che è nocivo, e non ciò che è vantaggioso? E se è così, se questo caso in qualche modo piò darsi, tutta la regola se ne va in polvere.
Che cosa ne pensate: può capitare un fatto simile? Voi ridete: ridete signori, purchè rispondiate se sono stati calcolati con piena esattezza i vantaggi umani. Non ce n'è di quelli che non solo non sono entrati, ma nemmeno possono entrare in nessuna classificazione?
Infatti, voi, signori, per quanto mi è noto, tutta la vostra lista dei vantaggi umani l'avete desunta come media delle statistiche e dalle formule della scienza economica. Infatti, i vostri vantaggi sono la prosperità, la ricchezza, la libertà, la tranquillità, e così via, sicchè un uomo che, per esempio, fosse andato palesemente e scientemente contro tutta questa lista sarebbe secondo voi, bè, naturalmente anche secondo me, un oscurantista o un vero pazzo, non è così?
Ma ecco quel che fa meraviglia: da che cosa proviene che tutti questi statistici, saggi e amanti dell'uman genere, nell'enumerazione dei vantaggi umani, tralascino continuamente uno dei vantaggi? Non ne tengono neppur conto nell'aspetto in cui bisogna tenerne conto, e tutto il conto ne dipende. Non sarebbe un gran guaio se lo si prendesse, questo vantaggio, e lo si inserisse nell'elenco.
Ma in questo appunto sta la rovina, che quel bizzarro vantaggio non rientra in nessuna classificazione, e non trova posto in nessun elenco.
Io, per esempio, ho un amico... Eh, signori, ma è amico anche vostro; e poi di chi, di chi non è amico? Preparandosi a fare qualcosa, questo signore subito vi esporrà, verbosamente e chiaramente, come, appunto, gli occorre agire secondo le leggi della ragione e della verità. Non basta: con agitazione e con passione vi parlerà degli autentici e normali interessi umani; con derisione rimprovererà gli sciocchi di corta vista che non capiscono nè i propri vantaggi, nè la vera importanta della virtù, e - esattamente un quarto d'ora dopo - senza nessun movente improvviso ed estraneo, ma precisamente per qualcosa di intimo, che è superiore a tutti i suoi interessi, cambierà totalmente registro, cioè andrà palesemente contro quello di cui egli stesso parlava: contro le leggi della ragione e contro il proprio vantaggio, bè, in una parola contro tutto...
Avvertirò che il mio amico è un personaggio collettivo e perciò accusare solo lui riesce un po' difficile. E' proprio così, signori: non esiste davvero qualcosa che quasi per ogni uomo è più caro dei migliori dei suoi vantaggi, o (per non violare la logica) c'è un vantaggiosissimo vantaggio (precisamente quello tralasciato, del quale parlavamo ora), che è più essenziale e più vantaggioso di tutti gli altri vantaggi, e per il quale l'uomo, se occorre, è pronto ad andare contro tutte le leggi, cioè contro la ragione, l'onore, la tranquillità, la prosperità - insomma, contro tutte queste belle e utili cose - pur di raggiungere questo originario, vantaggiosissimo vantaggio, che gli è più caro di ogni cosa?
- Bhè, ma sono pur sempre vantaggi, - m'interromperete voi.
Permettete, ci spiegheremo ancora, e poi non si tratta di un gioco di parole, ma del fatto che questo vantaggio è degno di nota precisamente perchè demolisce tutte le nostre classificazioni e infrange di continuo tutti i sistemi creati dagli amici dell'uman genere per la felicità dell'uman genere.
Insomma, guasta tutto. Ma prima che io vi nomini questo vantaggio, mi voglio compromettere personalmente e perciò audacemente dichiaro che tutti questi bei sistemi, tutte queste teorie per cui si spiegano all'umanità i suoi autentici normali interessi - perchè essa, aspirando necessariamente a raggiungere questi interessi, diventi subito buona e nobile - sono per intanto, secondo il mio parere, puro logicume!
Sissignori, logicume. Infatti, affermare non foss'altro che questa teoria del rinnovamento di tutto il genere umano attraverso il sistema dei suoi propri vantaggi è, secondo me, quasi la stessa cosa... bè, non foss'altro che affermare, per esempio, sulle tracce di Buckle [Henry Thomas Buckle (1821-1862), storico positivista inglese], che per effetto della civiltà l'uomo si raddolcirà, per conseguenza diventa meno sanguinario e meno atto alla guerra. Secondo logica, sembra che egli concluda proprio così.
Ma l'uomo è tanto incline alla sistematicità e alla deduzione astratta che è pronto a deformare premeditatamente la verità, pronto a chiudere occhi ed orecchi, pur di giustificare la propria logica. Prendo questo esempio appunto perchè è un esempio anche troppo chiaro.
Ma datevi uno sguardo intorno: il sangue scorre a fiumi, e per di più con così pazza allegria come se fosse sciampagna. Guardate tutto il nostro secolo diciannovesimo, in cui è vissuto anche Buckle.
Guardate Napoleone, il grande e l'attuale [Napoleone I e Napoleone III]. Guardate l'America del Nord, la sempiterna Federazione [Si era allora in piena guerra di secessione e sembrava che la costituzione federale del 1787 fosse dimenticata nella sanguinosa lotta tra unionisti e confederati]. Guardate, infine, il caricaturale Schleswig-Holstein [Che proprio in quell'anno 1864, servì di pretesto alla guerra della Prussia e dell'Austra contro la Danimarca]... E che cosa raddolcisce in noi la civiltà?
La civiltà non elabora nell'uomo se non la multilateralità delle sensazioni e... proprio nient'altro. Ma attraverso lo svilupparsi di questa multilateralità l'uomo c'è caso che giunga magari a trovare un godimento nel sangue.
Del resto gli è già accaduto. Avete notato che i più raffinati spargitori di sangue furono quasi sempre persone civilissime, rispetto alle quali tutti i vari Attila e Sten'ka Razin [Famoso capo cosacco del secolo XVII che capeggiò una rivolta contro gli zar] non valevano quanto le suole delle loro scarpe, e se non saltano agli occhi la vivacità di Attila e di Sten'ka Razin, è appunto perchè s'incontrano troppo spesso, sono troppo comuni, non fanno più colpo?
Per lo meno la civiltà ha reso l'uomo, se non più sanguinario, certamente sanguinario in modo peggiore, più infame di prima. Prima vedeva nello spargimento di sangue un atto di giustizia e con tranquilla coscienza sterminava chi occorreva; ora invece, sebbene consideriamo lo spargimento di sangue come un'infamia, tuttavia ci occupiamo di quest'infamia, e ancor più di prima.
Che cosa è peggio? Giudicate voi. Dicono che Cleopatra (scusate se prendo un esempio della storia umana) amasse piantare spilli d'oro nel petto delle sue schiave e provasse un godimento ai loro urli e spasimi.
Voi direte che questo accadeva in tempi, relativamente parlando, barbari; che anche ora i tempi sono barbari, perchè (sempre relativamente parlando) anche ora si piantano spilli; che anche ora l'uomo, sebbene abbia imparato veder le cose talvolta più chiaramente che nei tempi barbari, è però lontano dall'essersi abituato ad agire nel modo che la ragione e le scienze gli additano.
Ma tuttavia siete perfettamente sicuri che vi si abituerà senza fallo, quando saranno passate del tutto alcune vecchie cattive abitudini e quando il buon senso e la scienza avranno pienamente rieducato e normalmente indirizzato la natura umana. Siete sicuri che allora l'uomo cesserà da sè, spontaneamente, di sbagliare e, per così dire involontariamente, non desidererà che la sua volontà si allontani dai suoi normali interessi.
Non basta: allora dite voi, la scienza stessa insegnerà all'uomo (sebbene questo sia già un lusso, secondo me) che in realtà egli non ha nè ha mai avuto nè volontà nè capriccio, e che anche lui non è nulla più che una specie di tasto di pianoforte o di una punta d'organetto; e che inoltre ci sono al mondo anche le leggi naturali. Per conseguenze, queste leggi naturali basta scoprirle, che l'uomo non risponderà più delle sue azioni, e vivere gli sarà straordinariamente facile.
Tutte le azioni umane, va da sè, allora saranno calcolate secondo queste leggi, matematicamente, sul tipo d'una tavola di logaritmi fino a 108.000, e inscritte nel calendario; o, meglio ancora, compariranno delle pubblicazioni benpensanti, sul tipo degli odierni dizionari enciclopedici, in cui tutto sarà enumerato e segnato in modo così preciso che nel mondo non ci saranno più nè azioni nè avventure.
- Appunto allora - siete sempre voi che lo dite - verranno dei nuovi rapporti economici, già bell'e pronti e anch'essi computati con matematica esattezza, sicchè in un attimo spariranno tutti i problemi possibili, precisamente perchè se ne avranno tutte le possibili soluzioni. Allora si potrà costruire un palazzo di cristallo. Allora... Bè, insomma, allora giungerà in volo l'uccello Kagan.
Certo, non si può garantire in nessuna maniera (questo ormai sono io a dirlo) che allora non ci sarà, per esempio, una noia tremenda (perchè che cosa ci sarà mai da fare, quando tutto sarà calcolato secondo una tabella?), ma in cambio tutti sarà straordinariamente ragionevole. Certo, dalla noia che cosa non s'inventa? Infatti, anche gli spilli d'oro si piantano per noia, ma tutto questo non sarebbe niente. Il brutto (di nuovo sono io a dirlo) è che, chi sa mai, c'è anche il caso che la gente allora si rallegri agli spilli d'oro. Perchè l'uomo è sciocco, sciocco in modo fenomenale. Cioè, sebbene non sia affatto sciocco, è però in cambio così ingrato che, a cercarne uno simile, non c'è caso di trovarlo.
Infatti io, per esempio, non mi meraviglierei per nulla se a un tratto, di punto in bianco, in mezzo all'universale saggezza futura sorgesse un qualche gentleman dall'aspetto ingobile o, per megliore dire, retrogrado e beffardo, si mettesse le mani sui fianchi e dicesse a noi tutti: ebbene, signori? non dobbiamo buttar giù tutta questa saggezza d'un colpo, con una pedata, mandandola in polvere, col solo scopo che tutti questi logaritmi se ne vadano al diavolo, e che noi si possa di nuovo vivere secondo la nostra sciocca volontà?
Questo non sarebbe ancora nulla, ma il guaio è che senza fallo troverebbe dei seguaci: così è fatto l'uomo. E tutto questo per la cagione più futile, alla quale sembra che nemmeno metta conto di accennare: precisamente perchè all'uomo, sempre e dappertutto, chiunque fosse, è sempre piaciuto agire come voleva, e niente affatto come gli ordinavano la sua ragione e il suo vantaggio; e la volontà si può esercitarla anche contro il proprio vantaggio, e a volte anche si deve positivamente farlo (questa è già una mia idea).
Il nostro proprio volere, spontaneo e libero, il nostro proprio capriccio, anche se stravagantissimo, la nostra fantasia, irritata a volte magari fino alla pazzia, tutto ciò è appunto quello stesso vantaggiosissimo vantaggio tralasciato, che non rientra in nessuna classificazione e a causa del quale tutti i sistemi e le teorie se ne vanno continuamente al diavolo. E donde hanno desunto tutti questi saggi che all'uomo occorra un proprio volere normale, virtuoso? Come mai hanno immaginato proprio che all'uomo occorra un volere che sia proprio saggio e vantaggioso? All'uomo non occorre altro che un volere indipendente, qualunque cosa costi questa indipendenza e a qualunque cosa conduca. Bè, e il volere lo sa il diavolo...
(...)
Vedete: la ragione, signori, è una bella cosa, è indiscutibile, ma la ragione non è che la ragione e non soddisfa che la facoltà raziocinativa dell'uomo, mentre il volere è una manifestazione di tutta la vita, cioè di tutta la vita umana, con la ragione e con tutti i pruriti. E sebbene la nostra vita, in questa manifestazione, riesca sovente una porcheriola, pur tuttavia è la vita, e non è soltanto un'estrazione di radice quadrata. Io infatti, per esempio, è naturalissimo che voglia vivere per soddisfare tutta la mia capacità di vivere, e non per soddisfare soltanto la mia capacità raziocinante, cioè forse una ventesima parte della mia intera capacità di vivere. Che cosa sa la ragione? La ragione sa solamente quello che è riuscita a conoscere (certe cose, magari, non le conoscerà mai; anche se non è una consolazione, perchè non dirlo?), mentre la natura umana agisce nella sua interezza, con tutto quello che contiene, coscientemente e inconsciamente, e magari dice il falso, ma vive."
da "Memorie del sottosuolo", di Fedor Dostoevskij
Un topo

"Ditemi un po': per quale ragione accadeva che, come apposta, in quegli stessi, sì, proprio in quegli stessi momenti nei quali ero maggiormente capace di sentire tutte le finezze "di ogni cosa bella e sublime", come si diceva da noi un tempo, mi capitasse non già di sentire, ma di fare delle azioni così poco eleganti, che... ma sì, insomma, che, sebbene magari tutte le facciano, mi venivano però fatte, come apposta, proprio quando maggiormente avevo coscienza che non si sarebbero punto dovute fare? Quanto più avevo coscienza del bene e di tutto questo "bello e sublime", tanto più profondamente mi lasciavo prendere nella mia melma e tanto più ero capace d'impantanarmici del tutto. Ma il tratto principale era che tutto questo pareva che non fosse casuale in me, ma che proprio così dovesse essere. Come se questo fosse il mio stato più normale, e niente affatto una malattia e una tara, cosicchè, alla fine, mi passò anche la voglia di lottare contro questa tara. Finì che per poco non credetti (e forse credetti davvero) che questo fosse magari il mio stato normale. Ma sulle prime, all'inizio, quanti tormenti avevo sopportati in questa lotta! Io non credevo che succedesse ad altri, e poi lo tenni nascosto dentro di me tutta la vita come un segreto. Mi vergognavo (perfino adesso, forse, mi vergogno); giungevo al punto che provavo un certo occulto, anormale, vigliacchetto godimento a tornare, alle volte, in un'infame notte di Pietroburgo, nel mio angolo, e sentire fortemente che anche quel giorno lì avevo fatto di nuovo un'infamia, che ancora una volta quel che era fatto in nessuna maniera si poteva disfare, e rodermi internamente e segretamente, rodermi coi denti per questo, dilaniarmi e succhiarmi al punto che l'amarezza, alla fine, si convertiva in una ignominiosa, maledetta dolcezza e, alla fine, in vero autentico godimento! Sì, in godimento, in godimento! C'insisto. Perciò mi sono messo a parlare, perchè ho sempre voglia di sapere se anche altri abbiano di questi godimenti. Vi spiegherò: il godimento qui, proveniva precisamente dalla troppo chiara coscienza del tuo avvilimento; dal fatto che tu stesso sentivi di essere giunto all'ultimo limite; che era una cosa pessima, ma non poteva neppure essere altrimenti; che ormai non c'era via d'uscita per te, che mai più saresti diventato un altro uomo; che, se anche ti fosse rimasto tempo e fede per trasformarti in qualcos'altro, certamente tu stesso non ti saresti voluto trasformare; e se anche tu l'avessi voluto, non ne avresti fatto niente lo stesso, perchè forse non c'era proprio nemmeno in che cosa trasformarti.
(...)
Ma ora diamo un'occhiata a questo topo in azione. Supponiamo, per esempio, che esso pure sia offeso (è offeso quasi sempre) ed esso pure desideri vendicarsi. Di malignità, forse, se ne accumulerà in lui ancora più che nell' homme de la nature e de la vèrite [allusione al Rousseau delle Confessions]. Lo schifoso, basso desideriucolo di ripagare l' offensore con lo stesso male forse gli pruderà dentro ancora più infamemente che nell' homme de la nature et de la vèrite, perchè l' homme de la natura et de la vèrite, per la sua innata stupidità, considera la propria vendetta puramente e semplicemente come un atto di giustizia, ma il topo, per effetto dell'intensa coscienza, qui nega la giustizia. Si giunge finalmente al fatto, all'atto stesso della vendetta. Il disgraziato topo, oltre a un'infamia iniziale, ha già avuto tempo di ammucchiare intorno a sè, in forma di problemi e di dubbi, tante altre infamie; a un problema ha aggiunto tanti problemi insoluti che per forza gli si raccoglie intorno una specie di broda fatale, una specie di fango puzzolente, costituito dai suoi dubbi, dalle sue agitazioni e , infine, dagli sputi che gli piovono addosso dagli uomini immediati che stanno solennemente all'intorno in veste di giudici e dittatori e gli sghignazzano addosso a gola spiegata. S'intende che non gli rimane altro che fare con la sua zampetta un gesto di rinuncia a tutto e, con un sorriso di ostentato disprezzo, al quale esso stesso non crede, infilarsi ignominiosamente nella sua fessura. Là, nel suo lurido, puzzolente sottosuolo, il nostro topo offeso, maltrattato e deriso, si sprofonda immediatamente in una fredda, velenosa e, sopratutto, eterna malignità."
da "Memorie del sottosuolo" di Fedor Dostoevskij