
"Ditemi un po': per quale ragione accadeva che, come apposta, in quegli stessi, sì, proprio in quegli stessi momenti nei quali ero maggiormente capace di sentire tutte le finezze "di ogni cosa bella e sublime", come si diceva da noi un tempo, mi capitasse non già di sentire, ma di fare delle azioni così poco eleganti, che... ma sì, insomma, che, sebbene magari tutte le facciano, mi venivano però fatte, come apposta, proprio quando maggiormente avevo coscienza che non si sarebbero punto dovute fare? Quanto più avevo coscienza del bene e di tutto questo "bello e sublime", tanto più profondamente mi lasciavo prendere nella mia melma e tanto più ero capace d'impantanarmici del tutto. Ma il tratto principale era che tutto questo pareva che non fosse casuale in me, ma che proprio così dovesse essere. Come se questo fosse il mio stato più normale, e niente affatto una malattia e una tara, cosicchè, alla fine, mi passò anche la voglia di lottare contro questa tara. Finì che per poco non credetti (e forse credetti davvero) che questo fosse magari il mio stato normale. Ma sulle prime, all'inizio, quanti tormenti avevo sopportati in questa lotta! Io non credevo che succedesse ad altri, e poi lo tenni nascosto dentro di me tutta la vita come un segreto. Mi vergognavo (perfino adesso, forse, mi vergogno); giungevo al punto che provavo un certo occulto, anormale, vigliacchetto godimento a tornare, alle volte, in un'infame notte di Pietroburgo, nel mio angolo, e sentire fortemente che anche quel giorno lì avevo fatto di nuovo un'infamia, che ancora una volta quel che era fatto in nessuna maniera si poteva disfare, e rodermi internamente e segretamente, rodermi coi denti per questo, dilaniarmi e succhiarmi al punto che l'amarezza, alla fine, si convertiva in una ignominiosa, maledetta dolcezza e, alla fine, in vero autentico godimento! Sì, in godimento, in godimento! C'insisto. Perciò mi sono messo a parlare, perchè ho sempre voglia di sapere se anche altri abbiano di questi godimenti. Vi spiegherò: il godimento qui, proveniva precisamente dalla troppo chiara coscienza del tuo avvilimento; dal fatto che tu stesso sentivi di essere giunto all'ultimo limite; che era una cosa pessima, ma non poteva neppure essere altrimenti; che ormai non c'era via d'uscita per te, che mai più saresti diventato un altro uomo; che, se anche ti fosse rimasto tempo e fede per trasformarti in qualcos'altro, certamente tu stesso non ti saresti voluto trasformare; e se anche tu l'avessi voluto, non ne avresti fatto niente lo stesso, perchè forse non c'era proprio nemmeno in che cosa trasformarti.
(...)
Ma ora diamo un'occhiata a questo topo in azione. Supponiamo, per esempio, che esso pure sia offeso (è offeso quasi sempre) ed esso pure desideri vendicarsi. Di malignità, forse, se ne accumulerà in lui ancora più che nell' homme de la nature e de la vèrite [allusione al Rousseau delle Confessions]. Lo schifoso, basso desideriucolo di ripagare l' offensore con lo stesso male forse gli pruderà dentro ancora più infamemente che nell' homme de la nature et de la vèrite, perchè l' homme de la natura et de la vèrite, per la sua innata stupidità, considera la propria vendetta puramente e semplicemente come un atto di giustizia, ma il topo, per effetto dell'intensa coscienza, qui nega la giustizia. Si giunge finalmente al fatto, all'atto stesso della vendetta. Il disgraziato topo, oltre a un'infamia iniziale, ha già avuto tempo di ammucchiare intorno a sè, in forma di problemi e di dubbi, tante altre infamie; a un problema ha aggiunto tanti problemi insoluti che per forza gli si raccoglie intorno una specie di broda fatale, una specie di fango puzzolente, costituito dai suoi dubbi, dalle sue agitazioni e , infine, dagli sputi che gli piovono addosso dagli uomini immediati che stanno solennemente all'intorno in veste di giudici e dittatori e gli sghignazzano addosso a gola spiegata. S'intende che non gli rimane altro che fare con la sua zampetta un gesto di rinuncia a tutto e, con un sorriso di ostentato disprezzo, al quale esso stesso non crede, infilarsi ignominiosamente nella sua fessura. Là, nel suo lurido, puzzolente sottosuolo, il nostro topo offeso, maltrattato e deriso, si sprofonda immediatamente in una fredda, velenosa e, sopratutto, eterna malignità."
da "Memorie del sottosuolo" di Fedor Dostoevskij
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