domenica 24 gennaio 2010

La nuova grande muraglia

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Google, la Cina sfida gli Usa Danni alle relazioni bilaterali
di Giampaolo Visetti - da La Repubblica del 23 gennaio 2010

PECHINO - Il disperato tentativo della Cina di ridurre il caso Google ad una disputa commerciale è fallito. Il manifesto di Hillary Clinton per la libertà di internet, ha posto il problema dell' inscindibilità tra Rete, business e democrazia. Pechino, fino all' altra notte decisa a non farsi trascinare in un pericoloso scontro diplomatico contro Washington, è stata costretta a raccogliere una sfida dagli esiti incerti.

La prima guerra online del vacillante G2, dai diritti di Google, si è spostata al controllo delle informazioni web: l' affare del secolo. Per la Cina, internet è da ieri il «male assoluto». Per gli Stati Uniti è invece il «bene assoluto».

Il salto politico di qualità, certificato dalla durissima reazione cinese alle accuse della Casa Bianca, erige un Muro virtuale tra le potenze del millennio.

Google e il partito comunista cinese, in poche ore, hanno visto bruciare le residue possibilità di un accordo senza sconfitti. La comunità internazionale, sorpresa e impreparata al conflitto, assiste ad una sfida che ridefinisce gli equilibri tra le due superpotenze: elevando la Cina, quale antagonista, sullo stesso piano degli Usa.

Dopo l' irritazione a caldo, il ministero degli Esteri cinese ha risposto ieri alla Clinton con una meditata nota di condanna che sancisce una rottura profonda. «Le irragionevoli accuse alla Cina del segretario di Stato americano - ha scritto il portavoce Ma Zhaoxu- danneggiano i rapporti tra Cina e Stati Uniti. Ci opponiamo fermamente a queste parole e a queste azioni, contrarie alla realtà. Chiediamo agli Stati Uniti di rispettare i fatti e di smettere di usare la cosiddetta libertà di informazione per criticare la Cina senza motivo». Secondo il governo di Pechino, «internet in Cina è aperto e la Cina è il Paese più attivo nel suo sviluppo. Ma la Cina ha la sua situazione nazionale, le sue tradizioni e la sua cultura, e gestisce internet secondo le sue leggi e le norme internazionali». Infine la minaccia economica: «Nell' interesse delle relazioni bilaterali, auspichiamo che gli Usa rispettino gli impegni assunti dai leader».

Ufficialmente, l' attacco delle autorità cinesi si è fermato qui. Giornali e media online, sotto rigido controllo statale, si sono invece scatenati ricorrendo a toni nazionalistici estremi.

Il ministro della Pubblica sicurezza, Meng Jianzhu, ha dichiarato che «internet è diventato lo strumento principale delle forze anti-cinesi per infiltrarsi nel Paese e amplificare la loro forza distruttiva».

Il Global Times, barometro del potere in lingua inglese, ha scritto che «le pressioni Usa per l' apertura di internet sono l' ultima forma dell' imperialismo occidentale deciso a imporre i propri valori».

Secondo il giornale, «un web libero renderebbe la Cina vulnerabile alla retorica aggressiva dell' America e difendersiè essenziale per la stabilità».

In un editoriale di inedita violenza intitolato, «Ossigeno per l' egemonia Usa», il China Daily ha denunciato i tentativi di Cia e Casa Bianca di usare la Rete per innescare «rivoluzioni a colori» negli Stati antiUsa. Il giornale ha citato i casi di Iran e Moldavia nel 2009, accusando la Casa Bianca di volersi infiltrare anche in Cina. Secondo gli analisti, l' articolo riprende un rapporto riservato del ministero degli Interni.

Dopo poche ore, a conferma che il governo cinese è ancora indeciso sull' intensità dello scontro, gli articoli contro l' America sono stati tolti dalla Rete. Aggirando i filtri, si è però sfogato il popolo clandestino dei blogger. Su un fronte gli oppositori, che inneggiavano «al discorso storico di Hillary», «allo scoppio della guerra di internet», e «all' inizio di una nuova Guerra Fredda tra democrazia e autoritarismo», paragonando le accuse della Clinton alle parole di Churchill sulla cortina di ferro.

Chi pensava che internet avrebbe cambiato la Cina, inizia a pensare che potrebbe avvenire il contrario. Se il caso Google doveva essere un test sulla voglia di libertà della web-generation cinese, il risultato per ora è una vittoria della censura, della propaganda e dell' orgoglio patriottico imposti online da Pechino.

La Cina però è preoccupata. E' convinta che la Casa Bianca abbia cercato lo scontro. «Internet - ha detto un consigliere presidenziale- è il solo potere che gli resta. Non può perdere il controllo mondiale delle informazioni. Ma il segnale vero è che in due mesi il vento tra Usa e Cina è cambiato».

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La Rete non può accettare censure così Pechino si isola dal mondo
da La Repubblica del 23/01/2010

L'amministratore delegato di Google Eric Schmidt ha sempre difeso la decisione della sua azienda di operare in Cina, malgrado le restrizione imposte da Pechino alla libertà di Internet. Ma la settimana scorsa Google ha seccamente minacciato di sospendere ogni servizio dopo essere stata presa di mira da hacker che si ritiene abbiano scagliato il loro attacco proprio da quel Paese.
Presidente Schmidt, come mai ha preso questa decisione che ha colto di sorpresa molta gente e tante aziende?

«Google è un' azienda diversa da molte altre. Operare in Cina è sempre stato molto difficile per noi. Come è risaputo ci era stato chiesto di accettare un sistema di censura che ci aveva messo in grande imbarazzo, ma eravamo giunti alla conclusione che operare in quel Paese era meglio in ogni caso per tutti - per noi e per il popolo cinese - più che rimanere in disparte. Abbiamo deciso di non poter più collaborare con questa censura».

Che cosa è accaduto nei mesi scorsi, per indurvi a prendere questa decisione?

«Abbiamo preso atto concretamente di come i dissidenti cinesi siano controllati quando navigano in Rete. Non abbiamo prove a carico di nessuno, ma ognuno può trarre da sé le proprie conclusioni».

Non crede che alcune persone potranno affermare che voi avete una precisa responsabilità come fiduciari nei confronti dei vostri azionisti e che pertanto a voi spetta massimizzare i profitti?

«La nostra non è stata una decisione aziendale: questa naturalmente sarebbe stata di continuare a operare nel mercato cinese. La nostra è stata una decisione basata su valori precisi. Abbiamo cercato di chiedere ciò che sarebbe stato meglio da un' ottica globale».

Crede che la Cina possa ancora globalizzarsi pur mantenendo il suo sistema di censura?

«L' iniziale globalizzazione della Cina ha rappresentato un grande slancio. Ha tolto milioni di persone dalla povertà. Ma Pechino applica forti restrizioni all' informazione, come nessun altro Paese ».

Ritiene che questo possa avere un impatto economico sulla stessa Cina?

«Sul lungo periodo sì. Si sta molto meglioe si lavora meglio in un sistema nel quale la gente è libera di immaginare, inventare, entrare in contatto con il prossimo. Quante più persone possono interagire e fare progetti, tanto meglio. Quante più persone allacciano rapporti tra di loro, tanto meglio. Ogni cosa che noi facciamo a Google mira a conferire potere ai singoli utenti, ed è proprio questo che ci ripromettiamo di fare».

© Newsweek - Traduzione Anna Bissanti

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