domenica 17 gennaio 2010

Il poeta e il Poeta

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Felice il viandante che dopo un viaggio lungo, noioso, coi suoi geli, il fango, la sporcizia, e gli assonnati mastri di posta, il tintinnio dei sonagli, le riparazioni, gli alterchi, i postiglioni, i fabbri e ogni tipo di canaglia da strada, scorge alfine il noto tetto coi lumicini che gli si fanno incontro, e gli si parano davanti le note stanze, il grido gioioso dei suoi che corrono ad accoglierlo, il frastuono e il ruzzare dei bambini e i quieti, rasserenati discorsi, interrotti da effusioni ardenti, capaci di scacciare qualsiasi triste ricordo dalla memoria. Felice il padre di famiglia che possiede un simile angoletto, ma guai allo scapolo!

Felice lo scrittore che lasciando in disparte i personaggi noiosi, ripugnanti, che colpiscono per la loro squallida realtà, s'accosta a personaggi che mostrano invece l'alta dignità dell'uomo; lo scrittore che dal gran gorgo delle immagini che quotidianamente gli ruotano attorno ha scelto alcune rare eccezioni, e che non ha mutato nemmeno una volta il tono elevato della sua lira, non s'è abbassato dalla sua vetta incontro ai poveri fratelli insignificanti e, senza mai sfiorare la terra, s'è dato tutto alle sue aeree figure, così lontane da quella stessa terra.

Due volte invidiabile è il suo splendido destino: egli, in mezzo a loro, è come in seno alla sua famiglia natale; e nel frattempo la sua fama si diffonde ampia e sonora. Egli vela d'una caligine inebriante gli occhi degli uomini, li lusinga in maniera prodigiosa, celando quanto di triste vi è nella vita, e mostrando loro l'uomo meraviglioso. Tutto, plaudendo, lo segue e si slancia dietro al suo cocchio trionfale. Lo chiamano sommo poeta universale, innalzandolo ben al di sopra di tutti gli altri geni del mondo, come l'aquila sinnalza al di sopra degli altri uccelli d'alto volo. Al solo udire il suo nome sono presi d aun palpito i giovani cuori appassionati, in tutti gli occhi rilucono copiose le lacrime in rispsota... Non c'è nessuno che abbia la sua forza, egli è un dio!

Ma non è tale il destino, e diversa è la sorte dellos crittore che osa evocare in superficie tutto ciò che è in ogni istante davanti ai nostri occhi, e che gli occhi indifferenti non vedono, il terribile, sorprendente sedimento di minutaglie che avviluppa la nostra vita, tutta la profondità dei caratteri freddi, frammentati, triviali, dei quali brulica la nostra via terrena, talvolta amara e noiosa, e con la forza possente dell'implacabile cesello osa porli in rilievo e in piena luce agli occhi di tutto il pubblico! Non a lui è dato raccogliere il plauso dei popoli, non a lui è dato contemplare lacrime riconoscenti e l'unanime entusiasmo delle anime da lui sconvolte; non a lui toccherà obliarsi nel dolce incanto dei suoni che egli stesso ha creato; e infine, non a lui toccherà sfuggire al giudizio contemporaneo, a quel giudizio contemporaneo ipocrita e indifferente, che giudicherà insignificanti e basse le creazioni da lui vagheggiate, gli assegnerà un angoletto spregevole nel novero degli scrittori che offendono l'umanità, attribuendogli le qualità dei personaggi da lui raffigurati, negandogli sia un cuore, sia un'anima, sia il sacro fuoco del talento.

Poichè il giudizio contemporaneo non riconosce che sono egualmente meravigliose le lenti che contemplano gli astri e quelle che restituiscono i movimenti di invisibili insetti; poichè il giudizio contemporaneo non riconosce che occorre molta profondità d'animo per rischiarare una scena presa da una vita spregevole, ed elevarla a perla della creazione; poichè il giudizio contemporaneo non riconosce che il riso alto e ispirato merita di stare alla pari dell'alto empito lirico e che un abisso lo separa dalle smancerie di uno skomoròch da baraccone!

Non riconosce tutto questo il giudzio contemporaneo, e tutto volge a rimprovero e a insulto dello scrittore misconosciuto; senza consensi, senza risposta, senza segni di attenzione, come un viandante senza famiglia, egli se ne resta solo in mezzo alla strada. Duro è il suo cammino nella vita, ed egli assapora con amarezza la propria solitudine.

da "Le anime morte" di Gogol'

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