
da "La repubblica" del 15/09/2009 - di Bernardo Valli
VARSAVIA - Il viaggio nell' 89 ha tante tappe obbligate, è ritmato da tante date decisive che conducono al crollo del Muro di Berlino, il 9 novembre, e poi, in dicembre, al tragico finale rumeno, con la fucilazione in Romania dei coniugi Ceausescu. L' esecuzione conclude l' anno, fino allora senza spargimento di sangue.
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Ritorneremo sui nostri passi, ma partendo dalla Polonia si impone una data: il 4 giugno 1989. A Pechino, quel giorno, sulla Tiananmen, la protesta dei giovani viene soffocata dai carri armati. Nelle stesse ore a Varsavia, e nel resto della Polonia, si svolgono le prime elezioni semilibere in una delle cosiddette democrazie popolari, ossia nei paesi comunisti all' ombra dell' impero sovietico. La tragedia cinese monopolizza l' attenzione del mondo e fa quasi ignorare il voto polacco, in quel momento marginale per l' attualità, ma che si rivelerà una delle tappe più significative dell' anno in cui cambia il mondo.
Ai due estremi dell' universo comunista avvenimenti simultanei sono affrontati con metodi opposti: in Asia con una violenza che condurrà a un comunismo di mercato di clamoroso successo; in Europa con uno zelo riformista che condurrà dritto al fallimento di un sistema irriformabile, e alla formazione di una nuova Europa.
Il comunismo cinese va al compromesso ideologico con un massacro. Il comunismo europeo tenta il compromesso con una revisione incruenta e impossibile.
Le regole del voto polacco sono singolari. Il 35 per cento dei seggi della Dieta, la Camera dei deputati,è accessibile ai candidati non comunisti, quindi a quelli del sindacato Solidarnosc, ormai riconosciuto dal regime. I restanti sono riservati al partito. Per il Senato invece l' elezione è libera, aperta a diverse candidature. L' insolito, anzi inedito voto di Varsavia, viene espresso in un clima d' attesa, in cui speranze e timori si alternano, in tutti gli angoli dell' impero sovietico. Esso è stato concordato, nei minimi particolari, due mesi prima durante un' eccezionale Tavola rotonda, cui hanno partecipato gli uomini del potere comunista e quelli del movimento democratico.
Quest' ultimo, nato durante gli scioperi di Danzica, nel 1980, è formato da tre correnti: la tendenza operaia di cui l' elettricista Lech Walesa è il simbolo; la tradizione cattolica e nazionalista; e la resistenza intellettuale, incarnata, tra gli altri (secondo Adam Michnik, uno dei protagonisti di Solidarnosc), da Czeslaw Milosz, Premio Nobel per la poesia. Il Partito non è monolitico: a una tendenza maggioritaria, refrattaria al revisionismo, se ne affianca una riformista che si esprime nel settimanale Polityka.
La Tavola rotonda e le successive elezioni, con la partecipazione di Solidarnosc, perseguitato da anni e appena uscito dalla clandestinità, sono state rese possibili dalla situazione creatasi nell' Europa dell' Est. Senz' altro dalla lunga lotta del sindacato democratico e dalla sua crescente influenza nella società polacca; ma anche dalle forti vampate nazionaliste che agitano le repubbliche dell' Urss; dai riformatori che in seno ai partiti comunisti nelle diverse capitali alzano sempre più la voce; dalla destituzione, a Budapest, di Janos Kadar provocata da quei riformatori; ma a elettrizzare il clima politico, in tutti i paesi comunisti, è quel che accade a Mosca.
Già dal 1986 Mikhail Gorbaciov, dall' anno prima segretario generale del partito, nel tentativo di riformare il sistema, immerso in una crisi economica e morale, ha promosso sul piano politico la glasnost (alla lettera «trasparenza»,e in senso figurato: la possibilità di esprimersi); e su quello economico la perestroika (la «ristrutturazione»).
L' evoluzione politica nell' Unione sovietica ad opera di Gorbaciov, dice Adam Michnik, è stato il motore principale dell' 89. Al contrario del nuovo segretario sovietico, convinto di una possibile revisione del sistema del quale era la massima autorità, i dissidenti polacchi pensavano però che quel tentativo avrebbe condotto alla inevitabile distruzione del blocco comunista. E quindi credevano in una imminente rivoluzione senza violenza, senza utopia né progetto. Una rivoluzione un giorno vittoriosa. Ma quando?
Negli anni Trenta l' Unione Sovietica poteva anche apparire, secondo Michnik, come il simbolo del progresso e dello sviluppo. Ma mezzo secolo dopo era diventata una società anacronistica. Inoltre l' antagonismo tra il modello sovietico, basato sul pensiero unico, e le diverse tradizioni nazionali dei paesi satelliti, era diventato controllabile soltanto con periodici interventi militari.
Come a Budapest nel ' 56 o a Praga nel ' 68. La dottrina Breznev, sulla sovranità limitata degli Stati socialisti, sembrava ormai di difficile applicazione, anche se la sua abolizione ufficiale sarebbe stata annunciata soltanto un mese dopo le elezioni polacche, durante il vertice del Patto di Varsavia (l' alleanza militare a guida sovietica) convocato a Bucarest.
E' in questa atmosfera che all' alba del 5 giugno 1989 i militanti di Solidarnosc, una dozzina in tutto, raccolgono i risultati del voto del giorno prima. Si sono annidati nel caffé Niespodzianka (il Caffé Sorpresa) armati di telefoni e lavagne sulle quali scrivono i dati in arrivo dai centri elettorali. I varsaviesi diretti al lavoro si fermano davanti al locale, sotto i portici di viale Marszalkowska, che parte da piazza della Costituzione, storica ribalta di Varsavia.
All' improvviso dalla folla sempre più densa si levano grida di gioia. I numeri sulle lavagne, appese fuori dal Niespodzianka, sono una rivelazione. Al Senato 99 eletti su 100 non sono comunisti. E alla Dieta tutti i candidati di Solidarnosc sono stati eletti. Mentre 15 dei 17 membri dell' Ufficio politico del partito hanno perduto il loro seggio. Il movimento democratico ha stravinto nelle prime elezioni semilibere. E' il trionfo di Solidarnosc. Il 18 agosto, sempre nel 1989, l' intellettuale cattolico Tadeusz Mazowiecki, membro di Solidarnosc, sarà nominato capo del governo. Il primo non comunista a ricoprire la carica nell' Europa centro-orientale.
Due anni dopo si dissolverà l' Unione Sovietica. Nelle varie capitali, i proconsoli comunisti erano inquieti. Seguivano con apprensione l' attività e le dichiarazioni degli esperti che circondavano Mikhail Gorbaciov. In particolare va ricordato Alexander Iakovlev, il più ascoltato dei consiglieri. Il quale, poco prima di morire (2005) spiegherà con orgoglio: «Noi abbiamo dato l' ordine ai nostri ufficiali e ai nostri soldati di non uscire dalle caserme, neppure per fare dello shopping».
Iakovlev pronuncerà queste parole riferendosi alle truppe sovietiche acquartierate nella Germania Orientale alla vigilia e durante la caduta del Muro, avvenuta in novembre. Ma già prima Oleg Bogomolov, un altro degli esperti di Gorbaciov, nella sua veste di presidente dell' Istituto di marxismo- leninismo presso il comitato centrale del partito sovietico, aveva creato perplessità o addirittura il panico, lasciando apertamente capire che l' interpretazione degli avvenimenti del ' 68 praghese poteva essere ristudiata.
I comunisti ortodossi avevano ragione di preoccuparsi: nel centro dell' impero si pensava a una revisione partendo dall' eresia della Primavera cecoslovacca, repressa vent' anni prima? A questo scenario si deve aggiungere che prima delle elezioni semilibere polacche di giugno, c' erano state in marzo le elezioni nell' Unione Sovietica: e il dissidente Andrei Sakharov, simbolo del male per i comunisti russi, liberato da Gorbaciov, era entrato nel Congresso dei deputati del popolo.
Sono in tanti ad aggiudicarsi il merito di avere contribuito, nell' Europa dell' Est, alla «primavera dei popoli». I polacchi hanno validi motivi. L' espressione romantica, un po' ottocentesca, di «primavera dei popoli», vuole riassumere gli avvenimenti verificatisi nel 1989, a breve distanza uno dall' altro, spesso quasi simultanei, come tante frane successive, inarrestabili, fino allo sgretolamento dell' Impero Sovietico, che arrivava nel cuore della Germania.
Gyorgy Lukàcs, il critico letterario e filosofo marxista, al quale chiedevo un giudizio sul comunismo, subito dopo l' invasione della Cecoslovacchia (eravamoa Budapest nel tardo ' 68), mi disse: «Pensi al cristianesimo quando aveva una sessantina d' anni. Anche il comunismo cambierà nei prossimi millenni». Vent' anni dopo la morte di Lukacs il sistema comunista, del quale lui, sia pur da una posizione critica, non riusciva neppure a immaginare la fine, è franato. Sarebbe morto nell' impossibile tentativo di riformarsi.
A Washington si pensa che la politica di Reagan, puntando sulla sfida degli armamenti, abbia messo alle corde l' Unione Sovietica, incapace di sostenere il confronto, anche sul piano economico.
A Berlino c' è chi è pronto a giurare che l' ostpolitik di Willy Brandt, vale a dire il dialogo con i paesi comunisti, abbia contribuito col tempo al crollo dell' impero.
In Vaticano si è convinti, con incontestabile ragione, che l' azione di Giovanni Paolo II, il papa polacco, abbia pesato. Le folle che attirò durante le sue visite in Polonia umiliarono il potere comunista. E si può sottolineare, adesso, che, senza il suo carisma e finita la situazione d' emergenza, nella Polonia democratica il partito cattolico (L' Unione nazionale cristiana), fondato nel ' 90, ha ottenuto meno voti di quello comunista.
Anchea Kabul si pensa che i mujahidin, provocando il disastroso ritiro delle truppe sovietiche dall' Afghanistan, abbiano inferto un colpo mortale all' URSS.
Adam Michnik ha comunque ragione quando dice che la prima grande «delegittimazione», a Est, è venuta dal sindacato polacco Solidarnosc.
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