
Il 30 giugno del 1934, giorno fatidico per il nazismo, reparti speciali delle SS e della Goring-Polizei, con la partecipazione diretta di Hitler, avevano proceduto all'eliminazione del comandante e dei quadri delle SA, le Sturmabtleilungen di Ernst Rohm, divenuti pericolosi concorrenti nella conduzione della "rivoluzione nazionalsocialista". Fu un massacro efferato, un vero e proprio macello, e Hitler ne rivendicò il merito davanti a un Reichstag grato e commosso, il 13 luglio, autoproclamandosi giudice supremo (oberster Gerichtsherr) del popolo tedesco:
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" Se qualcuno mi rimprovera e mi domanda perchè non sono ricorso ai tribunali regolari, posso dire solo questo: in quell'ora io ero responsabile del destino del popolo tedesco ed ero quindi il suo giudice supremo".
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Dal canto suo, il Gabinetto del Reich, il 3 luglio, con un decreto di una sola frase aveva tolto all'azione ogni carattere illegale, confondendo legge e "giustizia", facendo della legittimità il moltiplicatore di potenza della legalità: "Le misure adottate il 30 giugno [...] al fine di stroncare gli assalti dei traditori sono azioni legittime di autodifesa dello Stato".
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Noi qui vediamo un caso di parossismo legislativo che trasforma il delitto in diritto supremo, ma non era così agli occhi dei contemporanei che partecipavano, attivi o passivi, al delirio della propaganda nazista.
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Più interessante è la disgustosa adulazione che leggiamo in un testo, scritto da Carl Schmitt, a quell'epoca presidente dell'Associazione dei giuristi tedeschi, con l'intento di porre la scienza giuridica tedesca al servizio del Fuhrer. Il testo in questione, non più ripubblicato dall'autore in sillogi retrospettive delle proprie opere, non è tuttavia soltanto un atto di impressionante piaggeria verso il potere, come di solito le numerose, affrettate letture attuali inducono a credere, ma è l'abbozzo di dottrina giuridica basata sul legame strutturale, anzi come immedesimazione del diritto in una sostanza "giusta": immedesimazione che conduce all'apoteosi del potere. Leggiamone quakche passo, a cominciare dalla citazione con cui inizia:
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Durante l'incontro annuale dei giuristi tedeschi tenutosi a Lipsia il 3 ottobre 1933, il Fuhrer ha messo in evidenza il contrasto tra un diritto sostanziale, intriso di moralità e giustizia, e una vuota legalità improntata a falsa neutralità e ha mostrato l'intima contraddizione del sistema weimeriano [il sistema della Costituzione democratica di Weimar, del 1919] che ha trovato il suo tramonto in quella legalità priva di contenuto e si è consegnato così ai suoi nemici. E ha concluso: "ciò sia di monito".
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Schmitt procede così:
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appare significativo del cieco modo di pensare del legislatore liberale il fatto che si sia cercato di fare del diritto penale il lasciapassare, la Magna Charta del criminale. Il diritto costituzionale si è di conseguenza trasformato nella Magna Charta dei traditori della patria. La giustizia diventa così una questione contabile, sul cui regolare e prevedibile funzionamento il criminale può accampare un sacrosanto diritto soggettivo. Lo Stato, così come il popolo, è invece prigioniero di una legalità senza respiro. Nei casi di estrema necessità vengono loro concesse apocrife vie d'uscita, che alcuni giuristi liberal riconoscono praticabili a determinate condizioni, mentre da altri esse vengono comunemente negate nel nome dello Stato di diritto in base alla considerazione che esse sono "giuridicamente inesistenti".
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Secondo tali concezioni, l'azione condotta dal Fuhrer può essere considerata esclusivamente come un provvedimento posto in essere in stato di necessità, bisognevole di essere legalizzato ex post, con allusione al citato decreto del 3 luglio, che qui Schmitt considera addirittura superfluo. Un principio di fondamentale importanza del nostro diritto costituzionale attuale, vale a dire quello della prevalenza politica della Fuhrung, viene il tal modo trasformato in una frase senza importanza e il ringraziamento che il Parlamento ha tributato al Fuhrer in nome del popolo tedesco viene spacciato per una semplice indennità, se non per un'assoluzione. La conclusione è questa:
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In realtà l'azione del Fuhrer è stata espressione del diritto allo stato puro. Essa non è soggetta ai tribunali perchè è stata essa stessa somma giustizia. Non si è trattato dell'azione di un qualunque dittatore repubblicano che - approfittando di uno spazio vuoto in un sistema giuridico (che magari per un attimo ha chiuso gli occhi) - ha posto in essere una data condotta, per poi lasciare il posto, a fatto compiuto, alla finzione di una esasperata legalità. La giurisdizione del Fuhrer promana dalla stessa fonte del diritto da cui deriva tutto il diritto di ogni popolo. Nei casi di estema necessità si mette alla prova il sommo diritto e si realizza la massima espressione giuridico-punitiva di tale diritto. Tutto il diritto promana dal diritto all'esistenza (il lebensrecht) del popolo. Ogni legge dello Stato, ogni sentenza, contengono diritto solamente nella misura in cui viene accordata loro da tale fonte. Tutto il resto non è diritto, ma un insieme positivizzato di leggi che contengono vincoli di cui il delinquente si fa gioco.
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da "La virtù del dubbio - Intervista su etica e diritto a Gustavo Zagrebelsky" - a cura di Geminello Preterossi
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