venerdì 27 febbraio 2009

Chi la dura...

Skype collaborerà con la polizia per inseguire i criminali sul VoIP
Il più grande servizio di telefonia web annuncia che in futuro aiuterà le forze dell'ordine nelle intercettazioni. Un dietro front della società estone arriva dopo i ripetuti appelli di Eurojust

di MARCO MENSURATI e FABIO TONACCI (27/2/2009)

ROMA - Skype ha ceduto e ha annunciato che in futuro collaborerà con le forze di polizia per permettere di intercettare le telefonate. Il dietro front della società estone di telefonia web arriva dopo i ripetuti appelli di Eurojust, l'organismo europeo che coordina le indagini in materia di criminalità informatica. Appelli sollecitati in particolare dalla Direzione Nazionale Antimafia italiana.


L'allarme era partito da un'inchiesta di Repubblica che aveva dimostrato come decine di inchieste penali si fossero arenate davanti alla impossibilità tecnica di intercettare le telefonate fatte online attraverso Skype. Un modo di comunicare usato sempre più spesso da trafficanti e criminalità organizzata proprio per la protezione della privacy garantita dai sistemi di sicurezza di Skype che hanno raggiunto livelli militari. "Skype è pronta a lavorare fianco a fianco di Eurojust in futuro".

Poche parole, scritte in un comunicato stampa, che sono fondamentali per le procure di tutta Europa che da anni si sono scontrati con i "no" di Skype alle richieste dei codici di criptazione e della tecnologia adatta all'ascolto delle conversazione di sospetti e indagati. "E' un passo avanti molto importante, già la prossima settimana sarà convocato il collegio per decidere come mettere in pratica questa collaborazione", dicono da Eurojust.

Una dichiarazione che fa la gioia di Skype dopo il terremoto della settimana scorsa: "Skype è lieta che Eurojust abbia riconosciuto l'impegno della società a cooperare con le autorità giudiziarie e con le forze di polizia per quanto è legalmente e tecnicamente possibile", dicono dall'Estonia.

All'incontro della prossima settimana, saranno coinvolti tutti gli stati membri dell'Unione Europea, nonché la task force predisposta dal ministro italiano Maroni ed esponenti dell'Antimafia. Quello che si aspetta Eurojust è la concessione degli algoritmi e dei codici che permettano ai tecnici delle procure di superare i sistemi di sicurezza di Skype e decifrare i segnali digitali in modo da poter ascoltare le chiamate.


All'Aja però sono anche cauti. "Questo è solo un primo passo. Prima di cantare vittoria vogliamo verificare se questa disponibilità di Skype è reale". Anche in passato, infatti, l'azienda estone con sede legale in Lussemburgo aveva manifestato l'intenzione di collaborare, come nel 2006 durante un incontro citato dalla stessa Eurojust, ma poi si era sempre trincerata dietro motivi di carattere legale.

giovedì 26 febbraio 2009

La prima

La prima, la più bella. Quella che, senza neanche pensarci, non tarderei a definire la mia canzone preferita.
C'è tutto quello cui aspiro dentro (e a cui non arrivo). C'è tutta l'umanità che si può richiedere a un poeta che canta la speranza.
Capolavoro senza tempo.



[ Don Chisciotte ]

Ho letto millanta storie di cavalieri erranti,
di imprese e di vittorie dei giusti sui prepotenti
per starmene ancora chiuso coi miei libri in questa stanza
come un vigliacco ozioso, sordo ad ogni sofferenza.
Nel mondo oggi più di ieri domina l'ingiustizia,
ma di eroici cavalieri non abbiamo più notizia;
proprio per questo, Sancho, c'è bisogno soprattutto
d'uno slancio generoso, fosse anche un sogno matto:
vammi a prendere la sella, che il mio impegno ardimentoso
l'ho promesso alla mia bella, Dulcinea del Toboso,
e a te Sancho io prometto che guadagnerai un castello,
ma un rifiuto non l'accetto, forza sellami il cavallo !
Tu sarai il mio scudiero, la mia ombra confortante
e con questo cuore puro, col mio scudo e Ronzinante,
colpirò con la mia lancia l'ingiustizia giorno e notte,
com'è vero nella Mancha che mi chiamo Don Chisciotte...

[ Sancho Panza ]

Questo folle non sta bene, ha bisogno di un dottore,
contraddirlo non conviene, non è mai di buon umore...
E' la più triste figura che sia apparsa sulla Terra,
cavalier senza paura di una solitaria guerra
cominciata per amore di una donna conosciuta
dentro a una locanda a ore dove fa la prostituta,
ma credendo di aver visto una vera principessa,
lui ha voluto ad ogni costo farle quella sua promessa.
E così da giorni abbiamo solo calci nel sedere,
non sappiamo dove siamo, senza pane e senza bere
e questo pazzo scatenato che è il più ingenuo dei bambini
proprio ieri si è stroncato fra le pale dei mulini...
E' un testardo, un idealista, troppi sogni ha nel cervello:
io che sono più realista mi accontento di un castello.
Mi farà Governatore e avrò terre in abbondanza,
quant'è vero che anch'io ho un cuore e che mi chiamo Sancho Panza...

[ Don Chisciotte ]

Salta in piedi, Sancho, è tardi, non vorrai dormire ancora,
solo i cinici e i codardi non si svegliano all'aurora:
per i primi è indifferenza e disprezzo dei valori
e per gli altri è riluttanza nei confronti dei doveri !
L'ingiustizia non è il solo male che divora il mondo,
anche l'anima dell'uomo ha toccato spesso il fondo,
ma dobbiamo fare presto perché più che il tempo passa
il nemico si fà d'ombra e s'ingarbuglia la matassa...

[ Sancho Panza ]

A proposito di questo farsi d'ombra delle cose,
l'altro giorno quando ha visto quelle pecore indifese
le ha attaccate come fossero un esercito di Mori,
ma che alla fine ci mordessero oltre i cani anche i pastori
era chiaro come il giorno, non è vero, mio Signore ?
Io sarò un codardo e dormo, ma non sono un traditore,
credo solo in quel che vedo e la realtà per me rimane
il solo metro che possiedo, com'è vero... che ora ho fame !

[ Don Chisciotte ]

Sancho ascoltami, ti prego, sono stato anch'io un realista,
ma ormai oggi me ne frego e, anche se ho una buona vista,
l'apparenza delle cose come vedi non m'inganna,
preferisco le sorprese di quest'anima tiranna
che trasforma coi suoi trucchi la realtà che hai lì davanti,
ma ti apre nuovi occhi e ti accende i sentimenti.
Prima d'oggi mi annoiavo e volevo anche morire,
ma ora sono un uomo nuovo che non teme di soffrire...

[ Sancho Panza ]

Mio Signore, io purtoppo sono un povero ignorante
e del suo discorso astratto ci ho capito poco o niente,
ma anche ammesso che il coraggio mi cancelli la pigrizia,
riusciremo noi da soli a riportare la giustizia ?
In un mondo dove il male è di casa e ha vinto sempre,
dove regna il "capitale", oggi più spietatamente,
riuscirà con questo brocco e questo inutile scudiero
al "potere" dare scacco e salvare il mondo intero ?

[ Don Chisciotte ]

Mi vuoi dire, caro Sancho, che dovrei tirarmi indietro
perchè il "male" ed il "potere" hanno un aspetto così tetro ?
Dovrei anche rinunciare ad un po' di dignità,
farmi umile e accettare che sia questa la realtà ?

[ Insieme ]

Il "potere" è l'immondizia della storia degli umani
e, anche se siamo soltanto due romantici rottami,
sputeremo il cuore in faccia all'ingiustizia giorno e notte:
siamo i "Grandi della Mancha",
Sancho Panza... e Don Chisciotte !

martedì 24 febbraio 2009

Impara l'arte!

Non so voi, ma a me questo tizio fa crepare di risate! Altro che Vittorio Sgarbi... :oP
Ma ATTENZIONE! Suonano ancora le sirene... Ih ih ih ih!

lunedì 23 febbraio 2009

Recordève del poaro fornareto

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Il fornaretto è un dramma storico in 5 atti di Francesco Dall'Ongaro, pubblicato a Trieste nel 1846.
Riscosse grande successo sin dalla sua prima rappresentazione, avvenuta al Teatro Carignano di Torino nel 1855. La sua popolarità dura ancora oggi.
La storia prende spunto da un fatto accaduto a Venezia nel 1507, quando un giovane fornaio, accusato dell'assassinio di un nobile e condannato a morte dopo aver confessato, sotto tortura, di aver commesso il delitto, venne giustiziato nonostante il colpevole dell'omicidio fosse stata un'altra persona che confessò la sua colpa in articulo mortis poche settimane dopo. Da quel clamoroso errore giudiziario nacque la formula "Recordève del poaro fornareto", con la quale il segretario del Consiglio dei Dieci, massimo organo giurisdizionale penale di Venezia, ammoniva i consiglieri prima che essi pronunciassero ogni sentenza, per guardarsi dai pericoli di un processo soltanto indiziario, anche in presenza della confessione dell'accusato che di solito era ottenuta mediante il ricorso alla tortura.

da WIKIPEDIA

domenica 22 febbraio 2009

Di callide soluzioni e astuzie assortite

Chi rallenta la giustizia
di Bruno Tinti (16/02/2009)

Ogni tanto i politici italiani si avventurano in frasi destinate, nelle loro intenzioni, a restare nella Storia. Sarebbe meglio che, almeno, stessero zitti. Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, ha svolto alla Camera la sua relazione annuale sull’amministrazione della giustizia; e ha detto: la crisi della giustizia «ha superato ogni limite di tollerabilità. Il più grande nemico della giustizia è la sua lentezza che coinvolge negativamente lo sviluppo del Paese». Poi è comparso lo «Schema di disegno di legge recante: Disposizioni in materia di procedimento penale» e tante altre sorprendenti novità. E io sono rimasto a chiedermi che ne è stato del problema della lentezza dei processi.

Non basta un volume per parlar male di questa riforma. E così, per il momento, parlo solo di una stupefacente novità. Il nostro dissennato codice di procedura penale qualche sprazzo di ragionevolezza lo conservava: secondo l’art. 238 bis, le sentenze emesse in un processo e divenute irrevocabili (significa che non si può più fare appello né ricorso per Cassazione) potevano essere acquisite in un altro processo e costituire elemento di prova, purché confermate da altri riscontri. La cosa si capisce meglio con un esempio. Processo a carico dell’avvocato inglese Mills per corruzione in atti giudiziari; come tutti sanno, nello stesso processo era imputato anche il presidente del Consiglio, come corruttore. Poi è arrivato il Lodo Alfano e la posizione di Berlusconi è stata stralciata (vuol dire che di un processo solo se ne sono fatti due; quello a carico di Mills è continuato e l’altro è stato sospeso).

Ora entrambi gli imputati attendono il loro destino: Mills aspetta di sapere se sarà condannato, la sentenza è attesa a giorni. Berlusconi aspetta di sapere se la Corte Costituzionale deciderà che il Lodo Alfano è incostituzionale. Se il Lodo Alfano non superasse l’esame della Corte (il suo predecessore, il Lodo Schifani, l’ha già fallito), il processo a suo carico riprenderebbe e, qui è il punto, la sentenza nei confronti di Mills, quando definitiva, potrebbe essere acquisita e fare prova dei fatti in essa considerati. Se fosse una sentenza di condanna, essa costituirebbe prova del fatto che Berlusconi corruppe Mills; tanto più se, secondo l’ipotesi di accusa, i «piccioli», i soldi, fossero davvero arrivati da un conto nella sua disponibilità.

Guarda caso, l’articolo 4 della riforma destinata a risolvere il problema della lentezza dei processi dice: l’articolo 238 bis è sostituito; nei procedimenti relativi ai delitti di cui agli articoli 51, commi 3-bis e 3-quater, e 407, comma 2, lett. a), le sentenze divenute irrevocabili possono essere acquisite ai fini della prova del fatto in esse accertato. Sembra tutto uguale, vero? Invece no: adesso le sentenze emesse in un altro processo fanno prova solo nei processi per mafia, terrorismo, armi (da guerra) e stupefacenti; per tutti gli altri reati non se ne parla, carta straccia.Recuperiamo l’esempio. Quando e se Mills sarà condannato, e quando e se la Corte Costituzionale avrà bocciato il Lodo Alfano, la sentenza che ha condannato Mills non potrà essere utilizzata nel processo a carico di Berlusconi: si dovrà ricominciare tutto daccapo.

Che non sarebbe grave: se vi erano elementi per condannare Mills, gli stessi elementi potranno far condannare Berlusconi. Ma, tempo di rifare tutto il processo (qui la riforma ha studiato parecchie cosucce che lo rallentano), sarà arrivata santa prescrizione.Naturalmente questa bella trovata è una legge dello Stato; e, come tale, vale per tutti, non solo per il suo primo beneficiario. Sicché possiamo porci la solita domanda: in che modo questa parte di riforma (le altre parti sono anche peggio) potrà eliminare il grande cruccio di Alfano, «la lentezza della giustizia»?

Va detto che questo ministro e il suo presidente sono anche sfortunati: lo scorso 26 gennaio la Corte Costituzionale (sentenza n. 29) ha ritenuto che l’articolo 238 bis (proprio quello modificato dalla riforma) era costituzionalmente legittimo; ne consegue che l’aver previsto che esso valga solo per alcuni reati e non per altri è, questo sì, incostituzionale. E così anche questa farà la fine di tante altre leggi emanate in spregio alla Costituzione; dopo aver assicurato l’impunità a tanti delinquenti, finirà ingloriosamente nel cestino. Ma è troppo chiedere che, prima di legiferare, studino un pochino?

sabato 21 febbraio 2009

venerdì 20 febbraio 2009

Sosta

giovedì 19 febbraio 2009

Chi ci arriverà per primo?

Un simpaticissimo video dei Monty Python linkatomi da Bonzy! In mezzo a tutto il filosofume di questo blog ci sta proprio! :oP

lunedì 16 febbraio 2009

Di giustizia e nuovi inghippi...

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Su skype il boss è imprendibile
di Marco Mensurati e Fabio Tonacci (14/02/2009)

«DI QUEI due chili ne parliamo poi, su Skype». Eccola qui la frase simbolo dell' ultima emergenza della giustizia italiana. È stata intercettata due mesi fa dagli uomini della Guardia di finanza di Milano. Al telefono un trafficante di cocaina invita il complice a continuare quella comunicazione usando il software che permette di parlare via Internet. Proprio come ormai da settimane stanno facendo mafiosi, trafficanti di armi e di droga, sfruttatori della prostituzione e piccoli criminali in tutto il paese.

Perchè le comunicazioni fatte tra due pc attraverso Skype non possono essere in alcun modo intercettate dalla polizia, blindate da uno dei software più misteriosi che ci siano sulla rete e da un meccanismo legale invulnerabile. Per capirsi: se Moggi l' avesse saputo, Calciopoli non ci sarebbe stata.

Proprietà della Skype Limited (gruppo eBay), questo programma utilizzato da 400 milioni di utenti nel mondo è uno dei principali ostacoli contro cui si stanno schiantando molte indagini penali, anche di primo piano.

«Durante la comunicazione - spiega un tecnico che collabora assiduamente con la procura di Milano - Skype trasforma la voce di chi parla in tanti pacchetti di dati digitali che viaggiano in rete. I dati però vengono criptati in base a un algoritmo segretissimo inventato dai programmatori di Skype. Non solo. La procedura di autenticazione da parte degli utenti è invulnerabile, perché il software genera password monouso temporanee ogni volta che si avvia una comunicazione. Ciò rende impossibile agli investigatori ogni tentativo di intercettazione. Skype è riuscita a portare il proprio sistema di sicurezza a livelli militari, assolutamente lontani da quelli degli altri software creati per fare telefonate attraverso Internet, come Eutelia o Ehiweb».

Della conversazione nemmeno rimane traccia sui tabulati: le chiamate su Skype sono invisibili, non si può sapere né quando né dove vengono fatte.

Anni fa, appena intuito il pericolo per le indagini, la prima reazione degli inquirenti fu quella di tenere tutto sotto silenzio. «Per non avvertire la malavita di un' occasione storica senza precedenti». Ma nel giro di poco tempo, la malavita se ne è accorta, eccome. E adesso, mentre la politica snobba del tutto il problema concentrandosi solo sulle intercettazioni telefoniche di tipo tradizionale, si susseguono negli uffici della Direzione investigativa antimafia riunioni su riunioni per individuare una via di uscita.

Il primo tentativo è stato quello di chiedere la collaborazione di Skype. Ma l' azienda si rifugia dietro una solida motivazione giuridica: ha sede legale in Lussemburgo e quindi non è soggetta alla normativa italiana del Codice di Comunicazione quella, per capirsi, che «costringe», su ordine della magistratura, gli operatori a violare la segretezza delle comunicazioni tra due privati cittadini.

Interrogata direttamente sulla questione, Skype non dimostra in effetti particolare collaboratività. «In considerazione dei risvolti legali del tema e non possiamo rispondere alle vostre domande» scrive a Repubblica Gennaro Nastri, senior account manager dell' azienda, che poi chiude con la formula classica: «La società attualmente coopera con le forze di polizia e le autorità giudiziarie per quanto è legalmente e tecnicamente possibile».

Di questa collaborazione, nelle riunioni e nei continui scambi epistolari con gli inquirenti, non c' è però traccia. Tanto che più volte è stata percorsa la via della rogatoria internazionale. «Una strada impervia - spiega Stefano Aterno, docente di informatica forense e criminologia informatica all' università la Sapienza di Roma - capita spesso che Skype dica di non essere in grado o di non voler mettere a disposizione la tecnologia necessaria a decrittare le conversazioni. E il tutto si risolve in una grande perdita di tempo».

Gli investigatori stanno allora provando ad arginare il fenomeno in un altro modo: con le intercettazioni ambientali. Individuando cioè i terminali attraverso cui i criminali si scambieranno le informazioni e mettendo le microspie nelle attrezzature (cuffie, microfoni, tastiere). Un sistema rudimentale che di fatto sposta indietro lo stato dell' arte delle intercettazioni di alcuni decenni, quando per controllare un' utenza occorrevano alcuni giorni e attrezzature molto costose. Il problema, però, è che non sempre è possibile individuare il pc attraverso cui i criminali si scambieranno le informazioni sensibili, anche perché si può accedere a Skype da un qualunque Internet Point e perché il software funziona anche sui telefonini di ultima generazione.

«E non è ancora stato considerato il più grande profilo di allarme - sorride l' avvocato Aterno - E cioè quello legato alla diffusione e alla duttilità della tecnologia Voip, su cui si basano le telefonate on line». Anche se qualcuno riuscisse a convincere Skype a collaborare con gli investigatori, nessuno può impedire ad altri di creare e diffondere sul web uno Skype 2.0. Un po' come è accaduto anni fa con i siti di peer to peer per lo scambio di musica tra utenti in rete.

Never enough

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"Lacrime lacrime non ce n'è mai abbastanza quando vien su la scoglionatura, inutile dire cuore mio spaccati a mezzo come un uovo e manda via il vischioso male, quando ti prende lei la bestia non c'è da fare proprio nulla solo stare ad aspettare un giorno appresso all'altro. E quando viene comincia ad attaccarti la bassa pancia, quindi sale su allo stomaco e lo agita in tremolio da frullatore e dopo diventa ansia che è come un sospiro trattenuto che dice vengo su eppoi non viene mai..."

da "Altri libertini" di Pier Vittorio Tondelli

domenica 15 febbraio 2009

Leggere/Scrivere

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"Di tutto ciò che è scritto, io amo solo ciò che uno scrive col sangue. Scrivi col sangue e sentirai che il sangue è spirito.
Non è tanto facile capire il sangue altrui: odio i fannulloni che leggono.
Chi conosce il lettore non fa più niente per il lettore. Ancora un secolo di lettori - e anche lo spirito marcirà.
Che tutti possano imparare a leggere, a lungo andare manda in rovina non solo lo scrivere ma anche il pensiero.
Un tempo lo spirito era dio, poi diventò uomo, ora diventa addirittura volgo.
Chi scrive con sangue e sentenze, non vuole essere letto ma imparato a memoria.
Sui monti la via più breve è da vetta a vetta: ma per questo devi avere gambe lunghe. Le sentenze devono essere vette e coloro a cui sono rivolte devono essere robusti e slanciati."

da "Così parlò Zarathustra" di F. Nietzsche

sabato 14 febbraio 2009

Di giustizia, indagini e maleriforme...

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Così un pedofilo sfuggirà alla giustizia
di Giuseppe Cascini (12/02/2009)

CARO direttore, in una cittadina del Nord Italia scompare un bambino di otto anni. Stava tornando da scuola, ma non è mai arrivato a casa.

La polizia avvia le indagini. Alcuni testimoni riferiscono di aver visto nei giorni precedenti una persona sospetta nei pressi della scuola. Ne forniscono una descrizione. Corrisponde a quella di un soggetto già condannato in passato per detenzione di materiale pedo-pornografico. La polizia avvia le indagini e scopre che l' uomo non è a casa e non si è presentato al lavoro.

La polizia comunica al magistrato le informazioni acquisite e propone di effettuare indagini tecniche:

a) Acquisizione dei tabulati del telefono intestato al sospetto;

b) Acquisizione dei tabulati del traffico telefonico transitato sulla cella nei pressi della scuola nella settimana precedente al rapimento.

L' ACQUISIZIONE serve sia per confermare la presenza del sospetto davanti alla scuola sia per individuare altri telefoni nella sua disponibilità;

c) Acquisizione dei tabulati del traffico telefonico della anziana madre del sospetto per individuare altri telefoni nella sua disponibilità;

d) Acquisizione dei tabulati del traffico telefonico sull' utenza della famiglia del bambino e intercettazione delle utenze;

e) Intercettazione del telefono del sospetto;

f) Intercettazione del telefono della madre del sospetto;

Il pubblico ministero ricevuta la comunicazione iscrive il nome del sospetto nel registro degli indagati per il delitto di cui all' art. 605 del codice penale (sequestro di persona: pena massima otto anni) e comincia a studiare le richieste della polizia alla luce delle nuova legge sulle intercettazioni:

a) I tabulati del telefono del sospetto non si possono fare. La legge richiede gravi indizi di colpevolezza che in questo caso mancano. Ci sono indizi, ma non sono gravi.

b) I tabulati del traffico della cella (che potrebbero confermare la presenza del soggetto sul luogo e quindi rendere grave il quadro indiziario) non si possono fare perché la legge consente l' acquisizione dei tabulati solo nei procedimenti contro ignoti e al solo fine di identificare le persone presenti sul luogo del reato o nelle immediate vicinanze di esso. In questo caso perché il procedimento è a carico di una persona identificata; comunque non si potrebbero estrarre i tabulati dei giorni precedenti al rapimento.

c) L' acquisizione dei tabulati della madre è comunque vietata perché sottoposta allo stesso regime delle intercettazioni: si possono fare solo in presenza di gravi indizi di colpevolezza, requisito che per la madre del sospetto certamente manca.

d) L' acquisizione dei tabulati delle utenze della persona offesa è possibile con il loro consenso, ma solo nei procedimenti contro ignoti, non in quelli, come in questo caso, a carico di persone identificate. Per la stessa ragione non possono essere intercettate le utenze.

e) Il telefono del sospetto non è intercettabile perché mancano i gravi indizi di colpevolezza.

f) Il telefono della madre non è comunque intercettabile.

Il pubblico ministero comunica al commissario di polizia il risultato del suo studio. «Dunque non possiamo fare nulla?», chiede il commissario. «Dobbiamo tornare ai vecchi metodi di indagine». «Bene», risponde il commissario, «allora convochiamo qui la madre e le chiediamo dove si trova il figlio e se non ci risponde la arrestiamo per favoreggiamento, così vediamo se lui viene fuori».

«Niente da fare, commissario», spiega paziente il pubblico ministero, «i prossimi congiunti dell' indagato non sono obbligati a testimoniare e non rispondono di favoreggiamento».

Una settimana dopo le indagini hanno una svolta. Un testimone ha visto il bambino salire su una macchina, ricorda il modello e i primi numeri di targa. La polizia verifica che il modello e i numeri di targa corrispondono all' auto del sospetto. Gli indizi di colpevolezza ora sono gravi.

Il commissario torna dal pubblico ministero a chiedere tabulati e intercettazioni. Il pubblico ministero emette subito i decreti di urgenza. Poi fa fare copia integrale degli atti di indagine e dispone che un' auto parta immediatamente per portare il tutto nella sede del capoluogo del distretto, a circa 150 km di distanza, perché il provvedimento deve essere convalidato dal tribunale in composizione collegiale entro 48 ore e al tribunale va trasmesso l' intero fascicolo.
L' autista del commissario, un agente di polizia, si offre di portare lui il fascicolo che, per mancanza di fondi e di personale, non arriverebbe mai a destinazione in tempo.

I tabulati del telefono confermano la gravità del quadro indiziario. Il sospetto ha passato molte mattine davanti alla scuola. Le intercettazioni non producono però risultati. Probabilmente il sospetto ha cambiato telefono.

Il commissario propone di intercettare tutte le persone con le quali il sospetto ha parlato durante gli appostamenti per arrivare al nuovo numero. Il pubblico ministero spiega che la nuova legge non consente l' intercettazione di persone diverse dall' indagato.

Dopo una settimana una nuova svolta. Una impiegata di un negozio di telefonia ha riconosciuto il sospetto dalla foto pubblicata sui giornali e ricorda di avergli venduto un telefono pochi giorni prima del rapimento. Controllando gli archivi del negozio la polizia individua la nuova utenza. Il pubblico ministero emette subito un decreto di urgenza poi guarda l' autista del commissario che senza dire una parola prende il voluminoso fascicolo e parte alla volta del capoluogo del distretto.

L' utenza è quella giusta. Il sospetto parla con la madre e le racconta del rapimento. La madre cerca invano di convincerlo a liberare il bambino. Purtroppo però la zona da cui chiama è piuttosto vasta ed è impossibile individuare il luogo dove si nasconde.

Il sospetto riceve poi telefonate da diverse cabine telefoniche da un uomo che vuole "comprare" il bambino. La polizia propone di estrarre il tabulato delle cabine. Se poi l' uomo ha usato una scheda prepagata si potrebbe estrarre il traffico di quella scheda come si è fatto nell' indagine per l' omicidio del professore Massimo D' Antona. Le altre chiamate potrebbero consentire di identificare l' uomo.

Niente da fare: l' uomo non è identificato e a suo carico non ci sono gravi indizi di colpevolezza. Passano i giorni; siamo a due mesi dall' inizio delle intercettazioni.

Il pubblico ministero non ha ancora trovato il coraggio di dire al commissario che a mezzanotte dovranno staccare i telefoni. Lo vede arrivare trafelato e raggiante: «Dottore, ci siamo!» urla. Gli mostra la trascrizione di una telefonata intercettata quella mattina tra l' uomo sconosciuto e il rapitore. Mentre legge la trascrizione il volto del pubblico ministero diventa sempre più bianco: il rapitore ha accettato di consegnare all' uomo il bambino, ma la telefonata si conclude così: «Chiamami domani e ti dirò dove venire».

*L' autore, pubblico ministero a Roma e segretario nazionale dell' associazione nazionale magistrati, ha applicato a un caso concreto la nuova disciplina delle intercettazioni e dimostrato come la nuova legge renda le indagini più difficili e meno efficaci - GIUSEPPE CASCINI *

venerdì 13 febbraio 2009

A metà

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418 - E' pericoloso mostrare troppo all'uomo, come sia uguale alle bestie, senza mostrargli la sua grandezza. E' anche pericoloso mostrargli troppo la sua grandezza, senza la sua bassezza. E' ancor più pericoloso lasciarlo nell'ignoranza dell'una e dell'altra. Ma è assai utile mettergliele dinanzi tutt'e due.
Non bisogna che l'uomo creda di essere uguale alle bestie, nè agli angeli, nè che ignori una cosa e l'altra, ma che le conosca entrambe.
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da "Pensieri" di Pascal

giovedì 12 febbraio 2009

His majesty

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"103 - L' esempio della castità di Alessandro non ha fatto tanti continenti, quanto quello della sua ubriachezza non abbia fatto intemperanti.
Non fa vergogna non essere virtuosi come lui, e sembra scusabile avere tutti i suoi vizi.
Non si crede affatto di trovarsi nei vizi del comune degli uomini, quando ci si vede nei vizi dei grandi; e pertanto non si bada che proprio in questo rientrano tra gli uomini comuni.
Ci si attacca ad essi, per l'estremo con cui essi si attaccano alla gran massa; poichè, per quanto alti siano, in qualche modo si ricollegano agli uomini infimi. Non sono sospesi per aria, del tutto astratti dalla nostra comunità. No, affatto; se sono più grandi di noi, è perchè sono più in alto con la testa; ma i loro piedi sono in basso, come i nostri. Sono tutti allo stesso livello, e poggiano sulla stessa terra; da questo estremo sono in basso come noi, come i più piccoli, i bambini, le bestie."

da "Pensieri" di Blaise Pascal

mercoledì 11 febbraio 2009

1 e 1000

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"Ciò che più ci colpisce di una massa psicologica è che gli individui che la compongono - indipendentemente dal tipo di vita, dalle occupazioni, dal temperamento o dall'intelligenza - acquistano una sorta di anima collettiva per il solo fatto di trasformarsi in massa.
Tale anima li fa sentire, pensare ed agire in un modo del tutto diverso da come ciascuno di loro - isolatamente - sentirebbe, penserebbe e agirebbe. Certe idee, certi sentimenti nascono e si trasformano in atti soltanto negli individui costituenti una massa.

La massa psicologica è una creatura provvisoria, composta di elementi eterogenei saldati assieme per un istante, esattamente come le cellule di un corpo vivente formano, riunendosi, un essere nuovo con caratteristiche ben diverse da quelle che ciascuna di queste cellule possiede.
Si può constatare facilmente quanto l'individuo immerso in una massa differisca dall'individuo isolato. Ma assai meno facile è scoprire le cause di tale differenza.
Per arrivare a intravederle bisogna ricordare anzitutto una scoperta fatta dalla psicologia moderna: che i fenomeno inconsci svolgono una parte preponderante non soltanto nella vita organica, ma anche nel funzionamento dell'intelligenza.
La vita cosciente dello spirito ha una parte minima rispetto alla vita inconscia di esso. (...) L'individuo in massa acquista, per il solo fatto del numero, un sentimento di potenza invincibile.
Ciò gli permette di cedere a istinti che, se fosse rimasto solo, avrebbe necessariamente tenuto a freno. Vi cederà tanto più volentieri in quanto - essendo la massa anonima e dunque irresponsabile - il senso di responsabilità che raffrena sempre gli individui scompare del tutto. (...) Il contagio mentale determina nelle masse il manifestarsi di speciali caratteri e al tempo stesso il loro orientamento."
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da "Psicologia delle folle" di Le Bon

martedì 10 febbraio 2009

Egò, emù, emoi, emè

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"323 - Che cosa è l'io?
Se un uomo si mette alla finestra per vedere chi passa, e passo io di là, posso dire che si è messo là per vedere me? No: poichè non pensa a me in particolare; e chi ama una persona per la sua bellezza, l'ama forse? No: poichè il vaiolo che distruggerà la bellezza senza toglier via la persona, farà che quegli non l'ami più.
Se mi si ama per il mio ingegno, per la mia memoria, si ama forse me? No, perchè posso perdere quelle qualità, senza perdermi io. Dove è dunque quest'io, se non è nel corpo, nè nell'anima? E come si ama il corpo o l'anima, se non per le qualità che non costituiscono affatto l'io, poichè sono transitorie? Si può amare forse la sostanza dell'anima di una persona, in astratto, prescindendo dalle sue qualità? Non si può, nè sarebbe giusto. Non si ama dunque mai nessuno, ma solo delle qualità.
Non burliamoci dunque più di coloro che si fanno onorare per cariche e uffici, poichè non si ama nessuno, che per qualità prese a prestito. "

da "Pensieri" di Blaise Pascal

lunedì 9 febbraio 2009

Se c' è


di Vittorio Zucconi - 9/02/2009

Se c’è un Paradiso, la signorina Eluana Englaro ora sicuramente ci abita. Se c’è un Purgatorio, è già stata rinchiusa là dentro per 17 anni, senza colpa. Se c’è un Inferno, spero che ci vadano i farabutti che hanno speculato e speculeranno sul suo corpo.

D'oh!


"(...) c'è qualcosa di eticamente ammirevole in Homer Simpson. Ma questa tesi pone un problema: come può essere vera se Homer non è un virtuoso? Se il modello di un carattere eticamente ammirevole è il suo essere virtuoso, e se Homer non riesce neppure a sfiorarlo, questo standard, allora la tesi secondo cui vi sarebbe in lui qualcosa di ammirevole è evidentemente falsa. (...)
In Scene di lotta di classe a Springfield Marge comprende che è stato un errore tentare di spingere la sua famiglia a conformarsi al circolo sociale elitario a cui si è iscritta di recente. Nell'accettare i membri della sua famiglia per quello che sono, enumera le qualità che più le piacciono di ognuno di loro (...). La qualità di Homer che cita è la sua "umanità a tutto tondo", e tale qualità, se la si interpreta in modo sufficientemente ampio, non solo gli si applica davvero ma ci fa andare molto avanti nello spiegare in che modo egli sia eticamente ammirevole.
(...) Questa qualità comprende l'amore per la vita e per il godimento della stessa, nei suoi elementi base, senza dare troppo peso, se non nessun peso, a ciò che pensa la gente. In linea di massima Homer non si preoccupa nè dell'etichetta nè di ciò che la gente pensa di lui. E' concentrato nel godersi pienamente la vita - perlomeno nella sua versione. Questo gusto per la vita da parte sua non è calcolato, e forse lui non ne è neppure consapevole. Ma si manifesta nelle sue azioni, nei suoi atteggiamenti, nella sua mancanza di malvagità, nel suo comportamento da bambino (per non dire infantile).
La qualità che spiega la possibilità di ammirare Homer, chiamiamola "amore della vita" seguendo Ned Flanders che la definisce "intossicante brama di vivere" (nell'episodio Viva Ned Flanders), non è in se stessa una virtù. E non perchè non appaia nella lista aristotelica delle virtù, ma perchè sappiamo bene che tale qualità, se non viene governata, può essere pericolosa sia per gli altri sia per chi la possiede (come io credo sia il caso di Homer)."

da "I Simpson e la filosofia" di William Irwin, Mark T. Conard e Aeon J. Skoble


domenica 8 febbraio 2009

Eccezione alla regola

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"Chi vive solo esteticamente ha il segreto terrore della disperazione, poichè sa molto bene che (...) quello che egli ha nella sua vita è la differenza. Quanto più in alto l'individuo sta, tanto più numerose sono le differenze che egli ha distrutto disperando del loro significato; ma egli salva sempre una differenza che non vuole distruggere, perchè in essa consiste la sua vita. E' strano vedere come anche le persone più semplici scoprano con ammirevole sicurezza quella che si potrebbe chiamare la loro differenza estetica, per quanto insignificante sia, e quella stolta lotta che si conduce per stabilire quale differenza sia più importante dell'altra è una delle miserie della vita."

da "Aut-aut" di Kierkegaard

Più e più volte mi sono ripromesso di non scrivere su questo blog analisi di fatti d'attualità, conscio che i miei modesti mezzi a poco mi servirebbero nel formulare un' opinione su questioni complicate, troppo spesso involgenti profili che non sono neanche in grado di capire superficialmente.
Dell' attuale preferisco discorrere oralmente, la parola scritta è una cosa quasi sacra quando si ha da dire qualcosa (probabilmente banale) sul mondo (sempre troppo multiforme).
E invece oggi mi sento di buttare giù due righe sulla figura di Beppino Englaro. L'eccezione alla regola.

Beppino Englaro non rivendica alcuna "differenza". Le "differenze" di cui parla Kierkegaard nello stralcio di "Aut-aut" da me riportato in questo post sono quelle doti, quelle qualità strettamente personali (o presunte tali), talenti originali, quasi innati e non comuni a nessuno.
Ognuno di noi cerca di trovarne almeno uno dentro se stesso, di coltivarlo, di farne a volte la bussola della propria vita, di costruirci sopra un'esistenza. Un talento, almeno uno, unico.

Englaro, in confronto, non rivendica alcuna differenza. Si rivolge alla legge, ai tribunali, propone appelli, ricorsi, esercita diritti riconosciutigli dall'ordinamento giuridico, rivendica situazioni giuridiche soggettive essenziali attribuitegli dalla costituzione, cura le questioni attinenti al suo ufficio di tutore della figlia nel modo più responsabile possibile, non decide al posto suo o per il suo bene ma ne vuole ricostruire la sua volontà in modo fedele, fedele alla sua memoria e ai suoi intenti.

Beppino Englaro non è un eroe, gli eroi ricercano la propria differenza e la esibiscono, la ostentano, vestendosi di falsa umiltà.

Beppino Englaro fa solo ciò che lo stato gli consente di fare, non forza la lettera di alcuna disposizione legislativa, riconosce pienamente il valore dello stato di diritto e dallo stato di diritto aspetta risposte.

Forse è questa, paradossalmente, la differenza che ne fa l'eroe che non vuole essere: il grande senso dello stato, un sentimento sconosciuto a troppi di noi, che vissuto nel suo significato più sacro sta mettendo allo scoperto le ansie, i timori, i perversi desideri malcelati di un potere superiorem non recognoscens, di un potere che non riconosce nulla di superiore, nessun principio, nessun etica al di là del pragmatismo viziato da logiche di calcolo del consenso elettorale.

Anyway greater

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347 - L'uomo non è che una canna, la più debole della natura; ma è una canna pensante. Non occorre che l'universo intero si armi a schiacciarlo; un vapore, una goccia d'acqua bastano per ucciderlo. Ma quando l'universo lo schiacciasse, l'uomo sarebbe ancora più nobile di quel che l'uccide, perchè ha la coscienza di morire, e della forza che esercita l'universo su di lui, l'universo non sa nulla.
(...)
397 - La grandezza dell'uomo è tale in quanto si riconsoce miserabile. Un albero non si riconosce miserabile.
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da "Pensieri" di Blaise Pascal

sabato 7 febbraio 2009

Di dubbi, certezze e spietate illegalità

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LA SVOLTA BONAPARTISTA
di EZIO MAURO (7/02/2009)

Una questione di vita e di morte, una tragedia familiare, un caso di amore e di disperazione tra genitori e figlia che cercava di sciogliersi nella legalità dopo un tormento di 17 anni, è stato trasformato ieri da Silvio Berlusconi in un conflitto istituzionale senza precedenti tra il governo e il Quirinale, con il Capo dello Stato che non ha firmato il decreto d'urgenza del governo sul caso Englaro, dopo aver inutilmente invitato il Premier a riflettere sulla sua incostituzionalità, e con Berlusconi che ha contestato le prerogative del Presidente della Repubblica, annunciando la volontà di governare a colpi di decreti legge senza il controllo del Quirinale.

Pronto in caso contrario a "rivolgersi al popolo" per cambiare la Costituzione.


Il Presidente del Consiglio non era mai intervenuto in questi mesi nel dibattito morale, politico e culturale sollevato da Beppino Englaro con la scelta di chiedere la sospensione della nutrizione artificiale per sua figlia, ponendo fine ad un'esistenza vegetativa di 17 anni, giudicata irreversibile da 14.

Ma ieri l'istinto populista ha consigliato al Premier di scegliere proprio il dramma pubblico di Eluana, giunto al culmine della sua valenza emotiva sollecitata dalla cornice di sacralità guerresca del Vaticano, per sfidare Napolitano su una questione di fondo: il perimetro e la profondità del potere del suo governo, che Berlusconi vuole sovraordinato ad ogni altro potere, libero da vincoli e controlli, dominus incontrastato del comando politico.

È uno scontro che segna un'epoca, perché chiude la prima fase di un quindicennio berlusconiano di poteri contrastati ma bilanciati e ne apre un'altra, che ha l'impronta risolutiva di una resa dei conti costituzionale, per arrivare a quella che Max Weber chiama l'"istituzionalizzazione del carisma" e alla rottura degli equilibri repubblicani: con la minaccia di una sorta di plebiscito popolare per forzare il sistema esistente, disegnare una Costituzione su misura del Premier, e far nascere infine un nuovo governo, come fonte e risultato di questa concezione tecnicamente bonapartista, sia pure all'italiana.

Il caso Eluana, dunque, nel momento più alto della discussione e della partecipazione del Paese, si è ridotto a pretesto e strumento di una partita politica e di potere. Berlusconi aveva infine ceduto alle pressioni del Vaticano e all'opportunità di dare alla sua destra senz'anima e senza tradizione un'identità cristiana totalmente disgiunta dalle biografie e dai valori, ma legata alla precettistica e alle politiche concrete della Chiesa: così ieri mattina ha annunciato al Consiglio dei ministri la volontà di varare un decreto legge di poche righe, per vanificare la sentenza definitiva della magistratura che accoglie la richiesta di Beppino Englaro, e per impedire la sospensione già avviata ad Udine dell'alimentazione e dell'idratazione per Eluana.

Il Presidente della Repubblica, che già aveva spiegato giovedì al governo l'insostenibilità costituzionale del decreto, ha deciso di assumersi su un caso così delicato una pubblica responsabilità, che non si presti ad equivoci davanti all'esecutivo, al Parlamento, alla pubblica opinione. Dando forma e sostanza all'istituto della "moral suasion", ha scritto una lettera a Berlusconi in cui spiega le ragioni che rendono impossibile il decreto, se si guarda - come il Capo dello Stato deve guardare - soltanto alla Costituzione, ai suoi principi, ai criteri che stabilisce per la decretazione d'urgenza.

C'è una legge sul fine-vita davanti al Parlamento, dice Napolitano nel messaggio, c'è la necessità di rispettare una pronuncia definitiva della magistratura, se non si vuole violare "il fondamentale principio della separazione e del reciproco rispetto" tra poteri dello Stato, c'è la norma costituzionale dell'uguaglianza tra i cittadini davanti alla legge, quella sulla libertà personale, quella sulla possibilità di rifiutare trattamenti sanitari.

Ci sono poi i precedenti di altri inquilini del Quirinale - Pertini, Cossiga, Scalfaro - che non hanno firmato decreti-legge, e soprattutto c'è la funzione di "garanzia istituzionale" che la Costituzione assegna al Capo dello Stato.

Da qui l'invito al governo di "evitare un contrasto", riflettendo sulle ragioni del no del Presidente. Con ogni probabilità è stato questo richiamo al ruolo di garanzia del Quirinale, unito al gesto pubblico di rendere nullo il decreto del governo, rifiutandosi di emanarlo, che ha convinto Berlusconi a sfruttare l'occasione per aprire la contesa suprema sul potere al vertice dello Stato.

In conferenza stampa il Premier ha spiegato la sua scelta sul caso Englaro con motivazioni morali ("Non mi voglio sentire responsabile di un'omissione di soccorso per una persona in pericolo di vita") ma anche con giudizi medico-scientifici approssimativi ("Lo stato vegetativo potrebbe variare"), e con affermazioni incongrue e sorprendenti: "Eluana è una persona viva, che potrebbe anche avere un figlio".

Ma il cuore del ragionamento berlusconiano è un altro: la lettera di Napolitano è impropria, perché il giudizio sulla necessità e urgenza di un decreto spetta per Costituzione al governo e non al Quirinale, mentre il giudizio di costituzionalità tocca al Parlamento. Non solo, ma il decreto d'urgenza è l'unico vero strumento di governo in un sistema costituzionale antiquato.

E se il Capo dello Stato "decidesse di caricarsi della responsabilità di una vita", non firmando il decreto, il governo si ribellerebbe invitando il Parlamento "a riunirsi ad horas" per approvare "in due o tre giorni" una legge stralcio che anticipi il testo in discussione al Senato, bloccando così l'esito della vicenda Englaro.

Eluana, tuttavia, è già sullo sfondo, ridotta a corpo ideologico e a pretesto politico. Ciò che a Berlusconi interessa dire è che non si può governare il Paese senza la piena e libera potestà governativa sui decreti legge. "Si può arrivare ad una scrittura più chiara della Costituzione. Senza la possibilità di ricorrere a decreti legge, tornerei dal popolo a chiedere di cambiare la Costituzione e il governo".

La sfida è esplicita, addirittura ostentata. Quirinale e Parlamento devono capire che il governo assumerà il potere legislativo attraverso i decreti legge, della cui ammissibilità sarà l'unico giudice, con le Camere chiamate ad una ratifica automatica di maggioranza e il Capo dello Stato costretto ad una firma cieca e meccanica. Berlusconi vuole decidere da solo, in un'aperta trasformazione costituzionale che realizza di fatto il presidenzialismo, aggiungendo potestà legislativa all'esecutivo nella corsia privilegiata della necessità e dell'urgenza, criteri di cui il governo è insieme beneficiario e giudice unico, senza lasciar voce in capitolo al Capo dello Stato.

Un Capo dello Stato minacciato pubblicamente dal Premier, se non firma il decreto per un deficit costituzionale, di "caricarsi della responsabilità di una vita". Qualcosa che non era mai avvenuto nella storia della Repubblica, per i toni politici, per i modi istituzionali, per la sostanza costituzionale: e anche per la suggestione umana. La risposta di Napolitano poteva essere una sola: con rammarico, il Presidente non firma, perché il decreto è incostituzionale.

L'assunzione di responsabilità del Quirinale rende nullo il decreto, e costringe Berlusconi a imboccare la strada parlamentare, sia pure con le forme improprie annunciate ieri. Ma la lacerazione rimane, il progetto di salto costituzionale anche.

È un progetto bonapartista, con il Premier che chiede di fatto pieni poteri in nome del legame emotivo e carismatico con la propria comunità politica, si pone come rappresentante diretto della nazione e pretende la subordinazione di ogni potere all'esecutivo.

Avevamo avvertito da tempo che qui portavano le leggi ad personam, i "lodi" che pongono il Premier sopra la legge, la tentazione continua di sovraordinare l'eletto dal popolo agli altri poteri. Ieri, Napolitano ha saputo opporsi, in nome della Costituzione.

La risposta del Premier è stata che il Capo dello Stato non potrà mai più opporsi, e la Costituzione cambierà. Ecco perché la data di ieri apre una fase nuova nella vita del Paese, una Terza Repubblica basata su una nuova geografia del potere, una nuova legittimità costituzionale, un nuovo concetto di sovranità, trasferito dal popolo al leader.

Si può far finta di non vedere cosa sta accadendo, con l'immorale pretesto della tragedia di Eluana? Ieri la voce più forte a sostegno di Napolitano è stata quella del Presidente della Camera, che sembra ormai muoversi in un perimetro laico e costituzionale, da destra repubblicana. Dall'altra sponda del Tevere, mai così stretto, è venuto il plauso a Berlusconi del Cardinal Martino, presidente del pontificio consiglio Giustizia e Pace, e la sua "profonda delusione" per la scelta di Napolitano di non firmare il decreto.

Come se insieme alle chiavi di San Pietro il Vaticano avesse anche la golden share del governo italiano e delle sue libere istituzioni.

Certo, sotto gli occhi attoniti del Paese e sotto gli occhi che non vedono di Eluana Englaro ieri è andato in scena uno scambio di favori al ribasso, col Dio italiano consegnato alla destra berlusconiana, come un protettorato, in cambio di una difesa di valori disincarnati e precetti vaticani, da parte di un paganesimo politico servile e mercantile. Dal caso Eluana non nasce una forza cristiana: ma un partito ateo e clericale insieme, che è tutta un'altra cosa.

Vanitas

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"Così sono giunto al punto in cui tu pensi che il significato della vita consista nella sofferenza. E' caratteristica di tutta l'evoluzione moderna la predilezione per il dolore. Voler soffrire è ritenuta una concezione di vita più alta che non voler essere felici. Il motivo è chiaro: voler essere felici è naturale, voler soffrire non è naturale. E poi essere felici porta con sè quasi un dovere di gratitudine, anche se la mente è troppo imbrogliata per sapere bene chi si debba ringraziare: soffrire invece ci libera da questo e la vanità è più soddisfatta. La nostra epoca inoltre ha esperimentato in tanti modi la vanità della vita che non crede più alla gioia, e, tanto per avere qualche cosa in cui credere, crede al dolore. La gioia svanisce, si dice, e il dolore rimane; perciò chi costruisce la sua concezione di vita sul dolore la costruisce su una base sicura.

Se poi ti si chiede, con più precisione, che dolore tu intenda, sei intelligente abbastanza per evitar di parlare del dolore etico. Non è il pentimento che intendi: no, è il dolore estetico, è sopratutto il dolore riflesso. Questo ha la sua origine non nella colpa ma nella disgrazia, nell'influenza degli altri, ecc. Tutte cose che conosci molto bene dai romanzi. Se le leggi nei romanzi ne ridi, se senti gli altri parlarne, li schernisci; ma quando tu stesso le esponi hanno del significato e sono la verità.
Benchè la concezione che fa del dolore il significato della vita sia di per sè abbastanza triste, non posso fare a meno di mostrarti che è sconsolata da un lato che forse ti è inatteso. Ripeto, quello che ho detto anche prima: allo stesso modo in cui svanisce la gioia, svanisce anche il dolore. (...) Chi dice che il dolore è il significato della vita ha da temere la gioia al di fuori di sè, come chi vuole essere felice ha da temere il dolore al di fuori di sè. La gioia lo può sorprendere precisamente nello stesso modo in cui il dolore può sorprendere quell'altro. La sua concezione di vita è dunque legata a una condizione che non è in suo potere; infatti non è proprio in potere dell'uomo rinunciare alla gioia o al dolore. Ma ogni concezione che fa dipendere il senso della vita da qualcosa di esteriore è disperazione.

Così volere il dolore è disperazione proprio allo stesso modo che volere la gioia, perchè è sempre disperazione avere la propria vita in qualcosa il cui senso è quello di svanire. Sii pure astuto e perspicace quanto vuoi, scaccia pur la gioia con un aspetto piagnucoloso e, se lo preferisci, tradiscila col tuo aspetto per conservare il dolore, la gioia ti potrà sempre sorprendere. Il tempo divora i figli del tempo, ed un dolore come quello è il figlio del tempo, e la sua presunta eternità è solo un inganno."

da "Aut-aut" di Kierkegaard

venerdì 6 febbraio 2009

Di dolore, potere e pietà dimenticata

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Mi ero ripromesso di non usare questo spazio del web per sproloquiare del quotidiano e dell' attuale, ma gli avvenimenti odierni mi spingono ineluttabilmente a riportare le parole di una nobile firma del giornalismo moderno.


LA POLITICA GREGARIA
di EZIO MAURO (6/02/2009)

Fermiamoci un momento a ragionare, se possibile, sull'azione del governo nei confronti di Eluana Englaro. La ragazza è dentro una stanza a cui guarda tutta l'Italia, con i dubbi profondi e la trepidazione che questa tragedia provoca in ogni persona non accecata dall'ideologia, e con lei c'è il padre che non chiede affatto silenzio, ma anzi sollecita una discussione pubblica, accompagnata dal rispetto per quella particolare vicissitudine: come quando in ospedale si tira una tenda intorno alle ultime ore di un malato morente.
In quella stanza, dopo rifiuti e ricatti, Beppino Englaro chiede allo Stato di poter porre fine ad un'esistenza vegetativa, dopo che per 17 anni si è registrata una situazione irreversibile. Lo fa in nome di una convinzione di sua figlia, di una sentenza della Corte d'Appello di Milano e della Cassazione, e soprattutto lo fa in nome dell'amore e del dolore che lui più di ogni altro prova per Eluana. Fuori, passando definitivamente dalla testimonianza dei valori cristiani alla militanza, la Chiesa muove fedeli e obiettori, proteste contro l'"omicidio" e l'"assassinio", invocazioni ad Eluana perché si "risvegli", come se questa non fosse purtroppo una superstizione, e come se la scienza che dice il contrario fosse falsa, anzi complice, dunque colpevole.
Questo governo pagano, figlio di una cultura che ha paganizzato l'Italia, è diviso dalla religione dei sondaggi (i quali danno ragione alla scelta del padre di Eluana che vuole infine liberare il corpo di sua figlia da questo simulacro di vita) e il richiamo della Chiesa, che con quel corpo totemico vuole ribadire non solo i suoi valori eterni, ma anche il suo controllo della vita e della morte.
La strada più semplice per l'esecutivo è la più vile, quella dei provvedimenti amministrativi, cioè di un diktat camuffato. Si minacciano ispezioni alla clinica, si chiedono informazioni ufficiali, si cavilla sulla convenzione tra la Regione e la casa di cura, immiserendo la grandezza della tragedia, che impone a tutti il dovere di essere chiamata col suo nome, e di essere affrontata con la responsabilità conseguente, nel discorso pubblico dove la famiglia Englaro l'ha voluta portare: probabilmente per rendere quella morte non inutile agli altri, meno priva di significato.
Quando la pressione aumenta, nella sera di mercoledì, il governo pensa ad un decreto. Uno strumento legislativo di assoluta necessità ed urgenza, che in questo caso sarebbero determinate da un caso specifico, da una singola persona. E soprattutto, contro una sentenza della magistratura passata in giudicato.

Tutto ciò si verificherebbe per la prima volta nella storia della Repubblica, con un'anomalia che configurerebbe una vera e propria rottura dell'ordinamento costituzionale. Vediamo perché.
La sentenza della Cassazione non impone la fine della vita di Eluana Englaro: stabilisce che si può procedere con "l'interruzione del trattamento di sostegno vitale artificiale realizzato mediante alimentazione di sondino nasogastrico". Questo atto di interruzione chiesto da un padre-tutore per una figlia in stato vegetativo permanente dal 1992, per la giustizia italiana non rappresenta dunque un omicidio ma l'esecuzione di un diritto previsto dall'articolo 32 della Costituzione, il diritto a rifiutare le cure. Con questa pronuncia, la Cassazione afferma con chiarezza che l'alimentazione forzata artificiale è un "trattamento sanitario", secondo la formula della Costituzione: mentre il decreto in un unico articolo che il governo ha pensato di varare nega proprio questo principio, e dunque non consente di seguire l'articolo 32, vincolando quindi il malato a quell'alimentazione artificiale per sempre. Per aggirare la Costituzione, si cambia il nome e la natura ad un trattamento praticato nelle cliniche e negli ospedali, lo si riporta dentro l'ambito del cosiddetto "diritto naturale", fuori dalla tutela dei diritti costituzionali. Ma in questo modo, attraverso il decreto, saremmo davanti ad un aperto conflitto tra due opposte pronunce non solo sulla medesima materia, ma sullo stesso caso: una sentenza della magistratura e un provvedimento d'urgenza del governo con vigore immediato di legge. Solo che nel nostro ordinamento il legislatore può cambiare il diritto finché una sentenza non diventa irrevocabile, cioè non più impugnabile, vale a dire passata in giudicato. Non siamo dunque soltanto davanti ad un conflitto: ma al problema dell'ultima parola in democrazia, al principio dell'intangibilità del giudicato, alla regola stessa della separazione dei poteri. Senza quel principio e questa regola, una qualunque maggioranza parlamentare a cui non piace una sentenza "definitiva" la travolge con una nuova legge, modificando il giudicato, intervenendo come supremo grado di giudizio, improprio, dopo la Cassazione. Naturalmente il Parlamento è sovrano nel potere di legiferare su qualsiasi materia, cambiando qualsiasi legge, qualunque sia stato il giudizio in merito della magistratura. Ma questo vale per il futuro, non per i casi in corso, anzi per un singolo caso, per un solo cittadino, e proprio per vanificare una sentenza. Si tratterebbe di un decreto contro una sentenza, definitiva: e mentre la si attua. Nemmeno nell'era di Berlusconi, dove si è cambiato nome ai reati, e si è creata un'immunità speciale del Premier, si era giunti fino a questo punto, che rende il legislatore giudice di ultima istanza - quando lo ritiene - e viola l'autonomia della funzione giudiziaria. Per queste ragioni di patente incostituzionalità è molto probabile che il capo dello Stato abbia frenato ieri sia la necessità che l'urgenza del governo, invitandolo a riflettere. La falsa rappresentazione che vuole la destra capace di parlare della vita e della morte, e gli altri, i laici, prigionieri dei diritti e del diritto, si rovescia in questo cavillare anticostituzionale del berlusconismo gregario, che riprenderà da oggi la strada della viltà amministrativa, usando qualsiasi invenzione strumentale per bloccare la volontà del padre-tutore di Eluana. Se il decreto salta, si salva il principio dell'autonomia tra i poteri dello Stato. Resta da chiarire, purtroppo, la capacità di autonomia della politica italiana, del suo governo, del Parlamento e di questa destra davanti alle pretese della Chiesa. Che ha tutto il diritto di dispiegare la sua predicazione e di affermare i suoi valori, ma non di affermare una sorta di idea politica della religione cristiana, trasformando il cattolicesimo italiano da religione delle persone a religione civile, con forza di legge.

167

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"Sono le tre del pomeriggio del 4 agosto 2007.
Fa caldo.
Anzi, fa caldissimo.
Lo scirocco peggiora le cose, fa sudare, appiccica le mani, le magliette, l'aria. Sembra di stare in una sauna. Sempre che uno sappia che cosa è una sauna, come è fatta e quello che si prova a starci dentro.
Ivan per esempio non lo sa con precisione: è roba da ricchi, costosa, roba che qui alla zona 167 - due camere cucina e bagno, casa popolare, settimo piano - suona lontana, estranea come mille altre parole: lusso, soldi vestiti, ragazze, cose belle.
Ivan ha fame di cose belle. Una gran fame arretrata.
Alla tv - sempre accesa in questa casa, dall'alba alla notte - adesso c'è una giornalista bionda che continua a ripetere quello che tutti sanno benissimo. Dice che fa caldo. Che questa è l'estate più calda del secolo. Dice che l'Italia è un fuoco, che i vecchi rischiano di morire, uno via l'altro, come le ciliege, e i bambini piccoli anche. Dice che bisogna stare all'ombra, bere molto, ma l'acqua gelata no che fa male.
E poi dice, agitando il dito severa, con l'aria di fare un rimprovero, sopratutto non bisogna accendere i condizionatori perchè se no, com'è successo quella volta, si va dritti al blec-aut.
Ivan guarda la giornalista e se la immagina nuda.
"Hai sentito? Ha detto che dobbiamo spegnere il condizionatore" dice il padre di Ivan alla mamma, ridendo con la pancia che traballa. Gli sembra spiritoso stare a sottolineare che loro il condizionatore non ce l'hanno e non ce l'avranno mai, nemmeno per miracolo. Sai che risate.
I Perulli al quinto piano, tanto per dire, il condizionatore lo hanno messo l'anno scorso. Stessa casa popolare, stessa miseria, ma almeno con l' aria fresca.
Questa giornalista è proprio una gran figa. Ha quel modo di parlare, con le smorfie, gli occhioni, la voce gnè gnè, come se dall'altra parte della televisione fossero tutti bambini di due anni. O tutti rimbambiti.
Poi dice "voltiamo pagina" e si fa una bella risata pure lei.
Quanti anni avrà una così, pensa Ivan. Venticinque, ventisei?
Alla tv sono sempre tutti allegri, uomini e donne.
Per forza. Belli, abbronzati, coi soldi. Voglio vedere io, chi non sarebbe contento, pensa Ivan.
A questa cosa della televisione, ogni tanto ci pensa.
D'inverno, con Gigi e Cristian, gli amici suoi di sempre, ha fatto di nuovo le selezioni per il "Grande Fratello", per "Fortunati si nasce" e per "Uomini e donne". Non l'hanno preso, lui, per un soffio, forse perchè non è molto alto.
Almeno così gli ha detto la tipa del casting.
Peccato. Un tanto di fortuna in più e la vita poteva cambiare.
Tutto poteva cambiare. Ma qualche speranza c'è ancora. A ottobre avrò 22 anni, pensa Ivan, devo sbrigarmi... (...) Altro che imbucare i volantini dell'Ipercoop, il massimo del lavoro che è riuscito a trovare. Altro che questa vita di merda.
Intanto su Canale 5 è cominciata la replica di "Commesse 4" con Sabrina Ferilli. La madre di Ivan l'ha vista e rivista cinque volte e proprio per questo si diverte di più. Sa già come va a finire.
"Ecco, oggi la licenziano" dice al padre.
"A chi?".
"A Sabrina Ferilli...".
Ivan guarda i genitori, in mutande, sudati, vecchi, stravaccati sul divano consumato, le molle sfondate che pungono il culo.
Mai finire così, lo giuro, dice a se stesso. (...)
Ivan cerca aria, come in galera. Esce sul terrazzino, lo strapunto di un balcone di nemmeno un metro quadro, ed è anchE peggio.
Se dentro fa caldo, fuori si muore.
Il sole, in alto, è una palla di fuoco.
Dal settimo piano si vede tutto lo squallore di questa cazzo di 167. Palazzoni bianchi e gialli tutti uguali, tutti brutti, in fila. E in basso, quattro aiuole di sterpi secchi, con il cartello che hanno messo prima delle ultime elezioni: "Quartiere fiorito". "

da "Salento's movida" di Armando Tango

mercoledì 4 febbraio 2009

Nobody else

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"Si sente spesso la gente esprimere la propria insoddisfazione e lamentarsi della vita; spesso la si sente desiderare qualche cosa.
Immagina ora un povero diavolo (lasciamo da parte i desideri capricciosi che qui non hanno nulla da insegnarci perchè sono completamente immersi nel casuale). Ecco i suoi desideri: avessi lo spirito del tale, od il talento del talaltro, ecc., anzi per arrivare al massimo: - avessi la fermezza di quel tale.
Simili desideri si sentono pronunciare assai spesso, ma hai mai sentito che alcuno desiderasse seriamente di poter diventare un altro?
Ne è anzi talmente lontano che è proprio caratteristico di quelle che si chiamano individualità infelici di aggrapparsi tenacissimamente a se stesse, tanto che, nonostante tutte le loro sofferenze, per nessuna ragione al mondo vorrebbero essere degli altri. Ciò ha il suo motivo nel fatto che queste individualità sono molto vicine alla verità e sentono l'eterno valore della personalità, non nella sua benedizione, ma nel suo tormento.
Anche se devono rinunciare alla gioia, preferiscono tuttavia rimanere se stessi. Ma anche colui che ha molti desideri intende sempre rimanere se stesso, anche se le circostanze mutano. Dunque in lui vi è qualche cosa di assoluto in rapporto a tutto il resto, qualche cosa per cui egli è quello che è, anche se il cambiamento sopraggiunto col realizzarsi del suo desiderio sia stato il più grande immaginabile.
Che egli sia in equivoco lo mostrerò più tardi, ma qui voglio solo trovare l'espressione più astratta di questo "se stesso" che lo rende quello che è. E questo non è altro che la libertà.
Per questa via si potrebbe realmente giungere ad una plausibilissima dimostrazione dell'eterno valore della personalità. Perfino un suicida propriamente non vuole sbarazzarsi di se stesso; quello che lui desidera è solo un'altra forma di se stesso. Perciò si potrà anche trovare un suicida che sia convinto al massimo grado dell'immortalità dell'anima. Ma il suo essere è così accecato che con questo passo egli crede di trovare la forma assoluta per il suo spirito.
Pure, la ragione per cui ad un individuo può parere che egli si possa costantemente trasformare, pur rimanendo sempre se stesso, come se il suo essere più profondo fosse una grandezza algebrica che potesse indicare quello che si vuole, è che egli si trova in una posizione falsa, che non ha scelto se stesso e non ne ha idea; eppure anche nella sua incomprensione vi è un riconoscimento dell'eterno valore della personalità.
Per chi invece si trova in una posizione giusta le cose vanno diversamente. Egli sceglie se stesso, non in senso finito, poichè allora questo "io" diventerebbe una cosa finita che si mescolerebbe colle altre cose finite, ma in senso assoluto: eppure egli sceglie se stesso e non un altro. Questo "io", che egli sceglie, è infinitamente concreto, perchè è lui stesso; eppure è assolutamente diverso dal suo "io" precedente, poichè egli l'ha scelto in modo assoluto. Questo "io" non esisteva prima, poichè venne creato colla scelta; eppure esisteva perchè era lui stesso."
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da "Aut-aut" di Kierkegaard

martedì 3 febbraio 2009

Lucky Outcast

382 - Quando tutte le cose si muovono insieme, sembra che non si muova niente, come in una nave. Quando tutti corrono verso il disordine, pare che non vi corra nessuno. Quegli che si arresta fa rilevare la corsa degli altri, come un punto fermo.
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da "Pensieri" di Blaise Pascal

lunedì 2 febbraio 2009

Time goes on


122 - Il tempo guarisce i dolori e le contese, perchè si cambia, non si è più la medesima persona. Nè l'offensore, nè l'offeso sono più gli stessi. E' come un popolo che si è provocato e che si rivedesse dopo due generazioni. Sono ancora i Francesi, ma non quelli.
123 - Egli non ama più questa persona che amava dieci anni fa. Lo credo bene: non è più la stessa, e lui nemmeno. Egli era giovane e lei pure; ora ella è cambiata. Egli l'amerebbe forse ancora se fosse come allora.
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da "Pensieri" di Blaise Pascal

domenica 1 febbraio 2009

Quiet living


"Delle cattedre della virtù

Si magnificava a Zarathustra un saggio, il quale sapeva parlare bene del sonno e della virtù: perciò egli era molto onorato e ben remunerato, e tutti i ragazzi sedevano davanti alla sua cattedra. Da lui si recò Zarathustra e con tutti i ragazzi si sedette davanti alla sua cattedra. E così parlò il saggio:

Onoriamo e trattiamo con pudore il sonno! Questa è la prima cosa! Lungi da tutti coloro che dormono male e stanno svegli la notte!
Anche il ladro è pudico di fronte al sonno: egli scompare sempre furtivo e leggero nella notte. Sfacciato è invece il guardiano notturno, che senza pudore si porta appresso il suo corno.
Dormire non è un' arte da poco: a tal fine è necessario stare svegli tutto il giorno.
Dieci volte al giorno devi superare te stesso; ciò comporta una buona stanchezza ed è un papavero per l'anima.
Dieci volte al giorno devi riconciliarti con te stesso; poichè il superuomo è amarezza, e dorme male chi non si è riconciliato con se stesso.
Dieci verità al giorno devi trovare; altrimenti vai cercando la verità anche di notte, e la tua anima è rimasta affamata.
Dieci volte al giorno devi ridere ed essere allegro; altrimenti di notte ti disturba lo stomaco, che è il padre di ogni travaglio.
Poichè lo sanno: ma bisogna avere tutte le virtù per dormire bene. Testimonierò il falso? Commetterò adulterio?
E anche se si hanno tutte le virtù, bisogna saper fare ancora una cosa: al momento giusto, mandare a dormire perfino le virtù.
Che non litighino fra loro, le buone donnette! E sulla tua testa, disgraziato!
Pace con dio e col vicino, questo ci vuole per un buon sonno. E pace anche col diavolo del vicino. Altrimenti la notte ti girerà attorno!
Onore all'autorità e all' ubbidienza, e anche all' autorità sbilenca. Così vuole il buon sonno. Cosa posso farci se il potere cammina volentieri su gambe sbilenche?
Per me il miglior pastore è sempre colui che porta la sua pecora verso il prato più verde: ciò si accorda con un buon sonno.
Io non voglio molti onori, nè grandi tesori: questo infiamma la milza. Ma si dorme male senza un buon nome e un piccolo tesoro.
Una piccola compagnia mi è più gradita di una cattiva: tuttavia deve andare e venire a tempo debito.
Mi piacciono molto anche i poveri di spirito: essi conciliano il sonno. Essi sono beati, in particolare quando si dà loro ragione.
Così trascorre la giornata del virtuoso. Quando viene la notte, mi guardo bene dal chiamare il sonno. Non vuole essere chiamato il sonno, che è il signore delle virtù!
Ripenso invece a ciò che ho fatto e pensato durante il giorno. Ruminando paziente come una mucca, domando a me stesso: quali sono stati allora i tuoi dieci superamenti?
E quali le dieci riconciliazioni e le dieci virtù e le dieci risate di cui il mio cuore ha goduto?
Riflettendo su tali cose e cullato da quaranta pensieri, tutto d'un colpo mi coglie il sonno, non chiamato, lui, il signore delle virtù.
Il sonno bussa ai miei occhi: ed essi si fanno pesanti. Il sonno mi tasta la bocca: ed essa rimane aperta.
Veramente, con passo lieve giunge a me, lui, il più caro dei ladri, e mi ruba i miei pensieri, io me ne sto istupidito come questa cattedra.
Ma non rimango così molto a lungo: ecco che sono già sdraiato.

Quando Zarathustra ebbe sentito quel saggio parlare così, rise nel profondo del cuore: perchè in lui era sorta una luce. E così parlo al suo cuore:
Un buffone è per me questo saggio! Un tale sonno è contagioso, trasmette anche attraverso un muro spesso il suo contagio.
Perfino intorno alla sua cattedra indugia un incantesimo. E i ragazzi non sedettero invano davanti al predicatore della virtù.
La sua saggezza prescrive: stare svegli, per dormire bene. E davvero, se la vita non avesse senso e io dovessi scegliere un'assurdità, questa sarebbe per me l'assurdità degna di essere scelta.
Ora capisco chiaramente che cosa si cercava innanzitutto una volta, quando si andava in cerca di maestri della virtù. Si cercava un buon sonno e, a tal fine, virtù papaveracee.
Per tutti questi acclamati saggi cattedratici la saggezza era il sonno senza sogni: essi non conoscevano un senso migliore della vita.
E ancora oggi ve ne sono alcuni come questo predicatore della virtù, e non sempre così onesti: ma il loro tempo è finito. E non si reggeranno in piedi ancora a lungo: ecco, saranno già distesi.
Beati gli assonnati: perchè presto si appisoleranno.

Così parlo Zarathustra."

da "Così parlo Zarathustra", di Friedrich Nietzsche