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La principessa della Siberia
di Piero Ottone - da "La Repubblica" del 26/08/2007
Negli slavi, uomini e donne, c' è sempre un tocco di follia. Ma nei decabristi, che furono i primi rivoluzionari nella storia della Russia, i "gentiluomini rivoluzionari", la follia, in una miscela di idealismo, fatalismo, frivolezza e irresponsabilità, raggiunse nel giro di pochi anni, fra il 1820 e il 1825, vette inesplorate.
Vediamo il quadro d' insieme. Napoleone è stato sconfitto; il Congresso di Vienna lascia prevedere per l' Europa, dopo tante tempeste, un lungo periodo di pace.
In Russia la grande aristocrazia, immensamente ricca, protetta da mille privilegi, può assaporarne i frutti in un' esistenza lussuosa, frivola, elegante, che si svolge intorno alla corte dello zar.
La vita è un susseguirsi di grandi feste nei palazzi di San Pietroburgo; di partite di caccia nelle tenute sconfinate in Ucraina e in Crimea; di viaggi di piacere a Parigi, a Vienna, a Capri.
Sono presenti insomma, in quegli anni e in quella classe sociale, tutti gli ingredienti per gustare, come non mai, la douceur de la vie. Perché la rivoluzione, dunque? Per varie ragioni. Le nuove idee giunte dalla Francia sulle baionette della Grande Armée, gli ideali di uguaglianza e libertà, hanno avuto il loro effetto.
Con la Francia gli aristocratici russi tengono rapporti stretti, parlano il francese meglio che il russo, sono esposti all' influenza di tutto ciò che succede sulle rive della Senna.
Ma la scoperta degli ideali democratici non basta, da sola, per spiegare la nascita dello spirito rivoluzionario fra i russi che appartengono alla grande aristocrazia. In loro c' è l' amore del gioco, il gusto del rischio: le grandi passioni della gente slava.
C' è, misteriosa, l' attrazione del precipizio. E c' è anche, come spesso succede fra gli uomini troppo ricchi e troppo potenti, una buona dose di superficialità.
Così accadde che varie decine di principi e duchi decisero di giocarsi, con aristocratica leggerezza, tutto quel che possedevano: per fare, niente meno, la rivoluzione, per tentare il colpo di Stato, per abbattere l' assolutismo, contro uno zar che era loro amico, in molti casi loro parente. Per affermare i diritti dell' uomo, la monarchia costituzionale, l' abolizione della servitù, a favore di una popolazione primitiva e analfabeta che accettava, infinitamente paziente, la sua sorte e credeva che Costituzione fosse la moglie di Costantino, figlio dello zar.
La rivoluzione fu una farsa.
Un giorno di dicembre del 1825 tremila soldati di un reggimento scelto furono mandati dai gentiluomini rivoluzionari in piazza a San Pietroburgo, senza precise istruzioni. L' azione era improvvisata, priva di senso. Nel Sud, intanto, uno dei capi, Sergej Muraviev-Apostol, invece di dare ordini stava bevendo chiaretto col fratello, leggeva versi di Byron e declamava Lamartine. Nel giro di poche ore due giovani ufficiali, pentiti, giurarono fedeltà allo zar, poi si tolsero la vita. Il principe Trubetskoj, pentito a sua volta, giurò fedeltà allo zar, poi si rifugiò nell' ambasciata austriaca.
I gentiluomini rivoluzionari furono arrestati. Seguì un lungo processo. Cinque furono impiccati, centoventi furono condannati ai lavori forzati. Tre volte, durante l' impiccagione, la corda si spezzò. «Povera Russia», esclamò Muraviev, uno dei condannati, quello stesso che beveva chiaretto e leggeva Byron, «non sai nemmeno impiccare come si deve!».
L' avventura dei decabristi è stata raccontata tante volte.
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A noi interessa qui la storia di Maria Volkonskij (anzi dovremmo dire, secondo l' uso dei russi, Volkonskaja), una donna incantevole e straordinaria, secondo il racconto che ne fa, in un bellissimo libro intitolato The Princess of Siberia, Christine Sutherland, scrittrice inglese.
Una parte essenziale della documentazione è stata fornita all' autrice da Elena Cicognani, nata principessa Volkonskij, la cui villa, a Roma, è oggi residenza dell' ambasciatore britannico.
Maria venne al mondo il giorno di Natale del 1805.
Apparteneva alla famiglia Raevsky, di nobiltà antichissima. Di lei ancora ragazza, graziosa e spensierata, con una chioma folta di capelli neri e grandi occhi espressivi e con un che di esotico nell' aspetto, «principessa del Gange» come la chiamavano in famiglia, conosciamo due fugaci apparizioni.
La prima risale al 1820. Il padre, sofferente di artrite, si trasferiva dalla tenuta in Ucraina per una cura di qualche settimana nel Caucaso e viaggiava come sempre in grande pompa, su una carrozza con un tiro a sei, alla testa di un corteo di familiari e di servitori.
Appunto su una carrozza del seguito c' era Maria, rannicchiata fra una sorella e l' insegnante d' inglese. A una curva, improvvisamente, comparve una vista meravigliosa: il mare. Subito ordinarono al cocchiere di fermarsi, e le ragazze corsero felici sulla spiaggia, a farsi rincorrere dalle onde: Maria aveva quindici anni.
A sua insaputa, un' altra carrozza del seguito si era fermata a sua volta, a qualche distanza, e il più grande poeta russo, Puskin, amico di famiglia, allora ventenne, la stava guardando, rapito. La sera le dedicò alcuni versi, scrisse che invidiava le onde, anche lui avrebbe voluto baciarle i piedini: si era innamorato di lei.
Quell' amore non ebbe un seguito. La seconda apparizione fugace di Maria giovinetta introduce nel nostro racconto Sergej Volkonskij: discendente a sua volta di una famiglia fra le più famose, figlio di un personaggio che aveva accompagnato lo zar negli incontri con Napoleone fra una battaglia e l' altra, lui stesso uno dei dieci principi al sommo della scala gerarchica nell' impero di Russia, di bell' aspetto e di maniere affascinanti, con uno sguardo che dava un' impressione di dolcezza piuttosto che di forza.
Il nostro personaggio, di passaggio a Kiev, notò su un campo di pattinaggio una ragazza che, graziosa nella lunga gonna di velluto, con un berretto di pelliccia dal quale fuggivano i riccioli neri, e con un manicotto sul petto, pattinava con grazia spensierata.
Intorno al campo c' erano i servitori che avevano accompagnato le pattinatrici. A uno di loro Sergej chiese chi fosse la giovane persona che aveva colpito la sua attenzione. La sua scoperta ebbe un seguito: il 12 gennaio 1825 Sergej e Maria si sposarono a Kiev. Lei aveva vent' anni, lui trentasette. Sergej era uno dei cospiratori. Alla fine dell' anno fatale la cospirazione culminò nell' infelice colpo di Stato.
Quando i tremila soldati scesero in piazza, a mezza strada fra l' Ammiragliato e il Palazzo d' Inverno, senza sapere bene perché, il principe Sergej, generale dell' esercito imperiale, si trovava in Ucraina. In quei giorni fatali aveva sentito, irresistibile, il desiderio di andare a casa, a Kiev, nella tenuta dei Raevsky, in cui abitava con la giovane sposa, beatamente ignara di politica. Arrivato nel vasto cortile antistante al palazzo, trovò una slitta con due ufficiali della polizia, giunti da San Pietroburgo per arrestarlo. Era il 2 gennaio del 1826.
In quelle stesse ore, in quello stesso palazzo, Maria dava alla luce Nikolenka, il primogenito. Seguì il processo, a San Pietroburgo. Sergej, con lealtà irreprensibile, non tradì nessuno dei complici. Fu condannato ai lavori forzati nelle miniere d' argento di Nercinsk, vicino al confine con la Cina, e all' esilio perpetuo in Siberia. Prima di essere deportati, alcuni dei condannati, fra i quali Sergej, dovettero assistere all' impiccagione di cinque compagni, capi dell' insurrezione.
Erano presenti alti ufficiali, grandi personaggi: Sergej e gli altri salutarono quelli che conoscevano, chiacchierarono disinvolti, si comportarono con grande classe anche allora. Maria, non appena fu pronunciata la condanna, non ebbe un attimo di esitazione: avrebbe seguito il marito. «Quale che sarà il tuo destino», gli scrisse, «lo dividerò con te». Invano amici e parenti, e lo stesso zar, indispettito per la sua ostinazione, cercarono di dissuaderla. Aveva vent' anni: si condannava alla morte civile, sarebbe stata diseredata, privata di ogni diritto, ridotta nelle condizioni di una non-persona; avrebbe abbandonato per sempre il figlioletto; non le sarebbe mai stato concesso di tornare in Russia. E infatti il soggiorno a Nercinsk fu terribile.
Solo col tempo, a poco a poco, le condizioni di vita migliorarono. Ai deportati fu concesso di trasferirsi a Irkutsk e Maria prese tante utili iniziative, migliorò le condizioni di vita nell' ospedale, fondò un teatro, diventò un personaggio: la principessa di Siberia, così chiamata a furor di popolo.
Nel 1855, quando aveva cinquant' anni, le fu finalmente concesso di tornare, con Sergej, nella Russia europea. Di tutti gli episodi della sua vita, che sono infiniti, il viaggio da Mosca a Nercinsk fu il più incredibile, il più affascinante.
Pensiamo allo stato d' animo di questa ragazza ventenne, bella, ricca, con un bambino appena nato fra le braccia, che decide di abbandonare tutto quel che ha nella vita e che sfida le suppliche e le minacce del padre, dei parenti, dello zar, per inseguire all' altro capo del mondo, fra la neve e il ghiaccio della selvaggia Siberia, un deportato.
Viviamo con lei le ultime giornate a San Pietroburgo, a Mosca, prima della partenza. A Mosca la sua cugina più cara, Zinaida Volkonskij, dà per lei un pranzo di addio nel fastoso palazzo del Tversky Boulevard: con tanti invitati e con un concerto, come si usa nel gran mondo. Cantanti celebri intonano le arie più famose.
Maria ascolta, rapita: ama la musica, per lei la musica è una ragione di vita. A un tratto mormora: «Forse questa è l' ultima volta che sento musica in vita mia~». Un ospite ascolta e le lacrime gli inumidiscono gli occhi: è Puskin, che sempre le è vicino, che prende la sua mano.
Infine, la partenza. Con tutto il bagaglio affastellato su una slitta, e con due accompagnatori, un domestico e una cameriera reclutati all' ultimo momento, spaventati e ostili perché sanno che Maria, ormai, è caduta in disgrazia.
La ragazza di vent' anni lascia tutto dietro di sé, si avventura a velocità folle sulla trojka, la slitta tirata da tre cavalli, scompare nella sconfinata distesa di neve.
Ogni quattordici verste si cambiano gli animali. è pieno inverno. Non ci sono strade: un albero che emerge dalla neve indica vagamente la direzione. Poidì, poidì, grida il cocchiere; avanti, avanti, nella corsa verso il nulla.
Di tanto in tanto una breve sosta in una misera locanda che emerge dal nulla: zuppa di cavoli sul fornello, montagne di blini, mercanti che giocano a carte, gridano, bevono vodka. Immancabile il samovar: Maria beve un bicchiere di tè col limone, che le dà un po' di calore.
Potrebbe sedersi su una panca vicino alla stufa, riposare qualche ora, ma non vuole riempirsi di pulci: va a dormire sulla slitta con la cappotta rialzata, rannicchiata sotto le pellicce. E poi di nuovo avanti, sempre avanti: la Siberia è sconfinata, Nercinsk è in capo al mondo. è solo a un terzo del viaggio quando arriva a Kasan, l' antica capitale dell' Orda d' oro.
Ed è la notte di Capodanno: decidono di fermarsi qualche ora nell' unico albergo. Lì accanto, sull' altro lato del cortile, c' è il club dei nobili:
«Vedevo», Maria scriverà poi nel diario, «gli ospiti mascherati che scendevano allegri dalle slitte, chiacchierando e ridendo. Non potevo sopportare il contrasto: qui c' era gente normale, gente ordinaria come me, che si divertiva, mentre io stavo scendendo nell' abisso~ Per me, tutto finito, non più canzoni e danze, non più divertimento: a un tratto mi sentii infinitamente infelice, fui presa dallo sgomento».
Ed ecco un brusco ufficiale, mandato dal governatore: ha l' incarico di convincerla a rinunciare, a tornare. Maria riacquista la sua fierezza, risponde che proseguirà.
Si avvicina la mezzanotte, si scatena una tempesta di neve. Le consigliano di fermarsi almeno per qualche ora, fino a quando la tempesta si placherà. «In Siberia sarà peggio», lei risponde, bambina ostinata. E dà l' ordine di ripartire.
«Non conoscevo la ferocia del vento sulla steppa di Kasan», scriverà poi. «La neve si ammucchiava sul tetto della slitta, c' era un monte di neve fra me e il cocchiere. Il mio orologio da viaggio segnò la mezzanotte, lo feci squillare perché salutava l' anno nuovo: cominciava il mio ventiduesimo anno di vita».
Maria si volta verso la domestica, le augura buon anno: lei risponde in malo modo. Allora augura buon anno al cocchiere. E intanto la assale il ricordo delle feste di Capodanno nel palazzo di Kiev, la sua infanzia, i riti solenni nella cattedrale di Santa Sofia, il canto struggente, l' incenso. Poi pensa a Sergej: che cosa farà lo sventurato in questo momento?
Il pensiero del povero Sergej scaccia gli altri (a Nercinsk lo troverà con le catene alle mani e ai piedi, nei primi tempi potrà solo vederlo una o due volte la settimana, alla presenza di un carceriere, con l' obbligo di parlare russo, che loro conoscevano male perché parlavano sempre francese).
Ma presto intervengono altri problemi: un' ora dopo la partenza il cocchiere annuncia che non possono proseguire nella tempesta, i cavalli sono esausti, lui si è perso. Scoprono la capanna di un boscaiolo, e lì passano il resto della notte, accanto a un focherello stentato: la legna è bagnata, il fuoco sprigiona fumo, in lontananza di sentono gli sciacalli.
La mattina il cielo è pulito, il viaggio riprende: ma Maria non mette fuori il volto, ha troppo freddo, passa il tempo recitando mentalmente canzoni, poesie, ballate imparate nell' infanzia. Il viaggio fino a Irkutsk dura ventiquattro giorni: rimangono altre seicento miglia, oltre il Lago Baikal, per Nercinsk.
Quando finalmente si arriva, scaricano la slitta. Nei bagagli, nascosto fra le valige, Maria scopre, con un grido di gioia, un minuscolo pianoforte. La cugina, Zinaida, lo aveva fatto caricare a sua insaputa. Un pianoforte! Maria, felice, si mette a suonare e a cantare. Non c' è, negli slavi, un tocco di follia?
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