
dalle motivazioni della sentenza "Parmalat" del 18/12/2008
La posizione di Calisto Tanzi
Le conclusioni cui si è giunti nel paragrafo precedente -che indicano in Calisto Tanzi il
vero regista del sistema di falsificazioni su cui si è retto il Gruppo Parmalat per oltre dieci
anni- in nulla vengono scalfite dalle dichiarazioni rese dall’imputato, il quale ha preteso di
difendersi descrivendosi quale imprenditore modello sotto il profilo gestionale, ma del tutto
sprovveduto quanto agli aspetti finanziari, in relazione ai quali sarebbe stato vittima degli
intenti truffaldini perseguiti da numerosi istituti di credito, italiani ed esteri.
vero regista del sistema di falsificazioni su cui si è retto il Gruppo Parmalat per oltre dieci
anni- in nulla vengono scalfite dalle dichiarazioni rese dall’imputato, il quale ha preteso di
difendersi descrivendosi quale imprenditore modello sotto il profilo gestionale, ma del tutto
sprovveduto quanto agli aspetti finanziari, in relazione ai quali sarebbe stato vittima degli
intenti truffaldini perseguiti da numerosi istituti di credito, italiani ed esteri.
Tanzi non si è sottoposto all’esame ed ha reso dichiarazioni spontanee al principio del
dibattimento ed in sede di discussione; all’esito dell’istruttoria, inoltre, su richiesta del
PM sono stati acquisiti gli interrogatori resi dall’imputato nel corso delle indagini
preliminari.
La versione dei fatti dell’ex patron della Parmalat è la seguente.
Egli era consapevole della falsità dei dati contenuti nei bilanci, nei comunicati stampa e nelle risposte alla Consob ed anche del fatto che -in virtù di tali falsità- i titoli emessi dalle società del Gruppo esprimessero un valore superiore a quello reale, ma egli agiva nella perfetta convinzione della sostenibilità dell’azienda e della possibilità di risanarla, senza percepire che le condotte di occultamento delle reale condizioni della Parmalat potessero condurre a così catastrofiche conseguenze quali quelle verificatesi nel dicembre 2003.
Nel corso degli anni, peraltro, le condotte di occultamento erano state agevolate dagli istituti di credito che, malgrado i bilanci esprimessero dati incongruenti sotto il profilo della trasparenza e del rapporto tra indebitamento e liquidità, avevano assicurato al Gruppo continue risorse finanziarie nell’ambito di un rapporto drogato, tale per cui erano le banche ad inseguire Parmalat e a proporle le forme più svariate di finanziamento, circostanza che egli aveva sempre interpretato come atto di estrema fiducia nei confronti delle sue capacità
imprenditoriali.
imprenditoriali.
Attesa la sua scarsa conoscenza e propensione alle alchimie finanziarie -
connotazioni riferibili anche ai responsabili della finanza del Gruppo, che il più delle volte accettavano acriticamente le proposte formulate dagli operatori finanziari, in ragione della loro imperscrutabile complessità- egli non era mai stato in grado di comprendere le reali finalità sottese alle operazioni poste in essere dal Gruppo sotto la guida ed il consiglio di istituti di credito e banche d’affari di respiro internazionale. Nella specie, era stato solo in seguito al suo arresto che egli aveva realizzato che tali operazioni erano state preordinate
all’arricchimento delle banche in danno della stessa Parmalat e dei risparmiatori che investivano in titoli emessi da società del Gruppo.
connotazioni riferibili anche ai responsabili della finanza del Gruppo, che il più delle volte accettavano acriticamente le proposte formulate dagli operatori finanziari, in ragione della loro imperscrutabile complessità- egli non era mai stato in grado di comprendere le reali finalità sottese alle operazioni poste in essere dal Gruppo sotto la guida ed il consiglio di istituti di credito e banche d’affari di respiro internazionale. Nella specie, era stato solo in seguito al suo arresto che egli aveva realizzato che tali operazioni erano state preordinate
all’arricchimento delle banche in danno della stessa Parmalat e dei risparmiatori che investivano in titoli emessi da società del Gruppo.
A quest’ultimo proposito, Tanzi ha rappresentato che il collocamento presso il mercato retail di emissioni obbligazionarie destinate ad investitori istituzionali era avvenuto a sua insaputa, con la conseguenza che la responsabilità dei danni cagionati ai piccoli risparmiatori doveva ritenersi a lui estranea.
Più precisamente, pur ammettendo di aver contribuito al crack Parmalat e chiedendo “perdono” in ragione di ciò ai risparmiatori, Tanzi ha ribadito che la responsabilità principale di quanto accaduto deve essere attribuita ai banchieri e agli operatori finanziari, i quali avrebbero approfittato della sua ingenuità sin dalla quotazione in borsa della Parfin nel 1990, quando Parmalat -in grave tensione finanziaria per gli investimenti effettuati nel settore televisivo- si era salvata grazie ad un’operazione alquanto discutibile e non certo ideata da esponenti del Gruppo, operazione che aveva consentito di ripagare i debiti verso gli istituti di credito utilizzando quasi integralmente il danaro raccolto sul mercato.
A seguito della quotazione, erano state le banche a proporre e a finanziare le acquisizioni
delle varie società industriali sparse per il mondo di cui le stesse banche erano creditrici,
nonché a sollecitare continue emissioni obbligazionarie ed operazioni di finanza strutturata,
situazione che, per un verso, aveva consentito agli istituti di credito di lucrare compensi ed
interessi elevatissimi e, per altro verso, aveva obbligato il Gruppo a ricorrere
incessantemente al mercato per ripagare i numerosi finanziamenti e gli altri debiti in
scadenza. Spesso -in accordo con la banca- venivano comunicati al mercato tassi inferiori
rispetto a quelli reali e in ogni caso condizioni migliorative per Parmalat, al fine di non
ingenerare sospetti sulla solidità finanziaria del Gruppo, come accaduto in occasione delle
emissioni obbligazionarie effettuate nel corso del 2003.
delle varie società industriali sparse per il mondo di cui le stesse banche erano creditrici,
nonché a sollecitare continue emissioni obbligazionarie ed operazioni di finanza strutturata,
situazione che, per un verso, aveva consentito agli istituti di credito di lucrare compensi ed
interessi elevatissimi e, per altro verso, aveva obbligato il Gruppo a ricorrere
incessantemente al mercato per ripagare i numerosi finanziamenti e gli altri debiti in
scadenza. Spesso -in accordo con la banca- venivano comunicati al mercato tassi inferiori
rispetto a quelli reali e in ogni caso condizioni migliorative per Parmalat, al fine di non
ingenerare sospetti sulla solidità finanziaria del Gruppo, come accaduto in occasione delle
emissioni obbligazionarie effettuate nel corso del 2003.
Tanzi ha, poi, accennato ai rapporti intercorsi tra il Gruppo Parmalat ed alcuni istituti di
credito e, nel corso delle dichiarazioni spontanee rese in sede di discussione, ha focalizzato
la sua attenzione su Bank of America, senza peraltro fornire elementi aggiuntivi rispetto a
quanto già emerso nel corso dell’istruttoria.
L’imputato, inoltre, ha spiegato che, a metà del 2002, la costruzione sino ad allora mantenuta in piedi per celare le reali condizioni del Gruppo stava crollando e che, nel corso di un colloquio estivo con il responsabile della JP Morgan Chase, questi gli aveva chiaramente rappresentato che la comunità finanziaria nutriva molte perplessità sui bilanci della Parfin, in ragione del massiccio ricorso a linee esterne di credito nonostante l’ingente liquidità asseritamene disponibile. E’ così che egli era giunto alla convinzione della necessità di ricorrere ad una ricapitalizzazione della
holding, a costo di perdere il controllo della società da parte della famiglia che non aveva liquidità da immettere nel capitale. Peraltro, tale soluzione gli era stata suggerita anche dal responsabile della JP Morgan Chase con il quale aveva, altresì, concordato che la banca avrebbe elaborato un piano di ristrutturazione del debito occupandosi dei rapporti con i vari istituti di credito esteri, mentre Mediobanca avrebbe dovuto trattare i rapporti con quelli italiani. Erano seguiti vari contatti anche con Mediobanca la quale si era dichiarata
interessata, ma di fatto aveva chiesto continui rinvii e alla fine non si era pervenuti a nulla
di concreto. Si era, così, arrivati al febbraio 2003 che -con l’episodio del bond annunciato e
poi ritirato- aveva segnato l’inizio della definitiva crisi finanziaria del Gruppo di cui le
banche erano a questo punto a perfetta conoscenza.
holding, a costo di perdere il controllo della società da parte della famiglia che non aveva liquidità da immettere nel capitale. Peraltro, tale soluzione gli era stata suggerita anche dal responsabile della JP Morgan Chase con il quale aveva, altresì, concordato che la banca avrebbe elaborato un piano di ristrutturazione del debito occupandosi dei rapporti con i vari istituti di credito esteri, mentre Mediobanca avrebbe dovuto trattare i rapporti con quelli italiani. Erano seguiti vari contatti anche con Mediobanca la quale si era dichiarata
interessata, ma di fatto aveva chiesto continui rinvii e alla fine non si era pervenuti a nulla
di concreto. Si era, così, arrivati al febbraio 2003 che -con l’episodio del bond annunciato e
poi ritirato- aveva segnato l’inizio della definitiva crisi finanziaria del Gruppo di cui le
banche erano a questo punto a perfetta conoscenza.
In merito alle falsificazioni, Tanzi ha precisato che, pur avendo avuto consapevolezza dei profili di falsità caratterizzanti i bilanci delle società del Gruppo, del ruolo assolto dalla Bonlat e dell’inesistenza del conto Bank of America, egli ignorava i tecnicismi con cui venivano fatte risultare le attività fittizie, attribuendo a Tonna e a Zini spiccate abilità di falsari a lui assolutamente estranee. Addirittura, in alcune occasioni egli si era visto
costretto ad approvare le soluzioni che i medesimi di volta in volta ideavano, come nel caso
dell’esposto per aggiotaggio presentato dalla Parfin alla Consob il 20 marzo 2003, che egli
aveva sottoscritto in qualità di Presidente della società: “sono stato un pochino costretto
a firmare sta lettera che era un po’ contro la mia volontà perché (Zini) mi diceva che
andava fatta in quanto praticamente era andato su e giù il titolo..perché senta, il primo
danneggiato di tutta questa cosa sono io, perché io ho avuto il 51% e non ho mai speculato
sul titolo nostro.. (la lettera) l’ha fatta lui e me l’ha fatta firmare, io non ero molto
convinto, ma lui diceva che andava fatta, per tutela nostra; sono robe che lasciano il tempo
che trovano..”.
Egli, inoltre, non trattava direttamente con i revisori e nel corso degli anni aveva solo immaginato una loro complicità o benevolenza in merito a Bonlat, fino a quando “gli fu detto” (dal tenore complessivo delle dichiarazioni sembrerebbe da Tonna) dell’opportunità di mantenere il rapporto con GT per riconoscenza e per continuare ad occultare le distrazioni sino ad allora commesse.
Tanzi ha, poi, negato di aver celato le reali condizioni del Gruppo a Ferraris quando questi
aveva assunto la carica di Direttore Finanziario e di avere impartito l’ordine di distruzione
delle carte Bonlat.
In merito al settore del turismo, infine, l’imputato ha raccontato che si era rivelato ben
presto un cattivo investimento foriero di numerose perdite ed ha giustificato le distrazioni
commesse in favore delle società del gruppo HIT, evidenziando come le stesse servissero a
coprire i debiti di un ramo d’azienda nella sostanza riconducibile alla Parmalat.
Si noti che Tanzi ha terminato il suo primo intervento in dibattimento preannunziando
che, attesa la rappresentazione di estrema sintesi effettuata in tale occasione, avrebbe
fornito altri contributi tesi a ricostruire i singoli episodi oggetto di imputazione, in quanto
desideroso di collaborare con l’autorità giudiziaria con tutte le sue forze. Avendo in seguito
preso la parola in sede di discussione, Tanzi ha giustificato tale silenzio, protrattosi per oltre
due anni e mezzo, adducendo motivi di salute (che comunque non gli hanno impedito di
presenziare al dibattimento per rendere dichiarazioni spontanee) ed in ogni caso
respingendo l’accusa di reticenza rivoltagli dai PM nel corso della requisitoria. A tale
ultimo riguardo, Tanzi ha spiegato di avere in realtà fornito agli inquirenti la più ampia
collaborazione possibile, avendo ammesso le sue responsabilità in relazione ai fatti per cui
si procede (altri particolari in merito a determinate operazioni finanziarie non avrebbe
potuto fornirli, giacché erano Tonna e Zini che se ne occupavano nei dettagli, limitandosi
egli ad approvare le loro proposte) ed avendo anche compiutamente illustrato gli appoggi
politici su cui poteva contare il Gruppo Parmalat, a fronte di elargizioni in denaro ad
esponenti di partito.
che, attesa la rappresentazione di estrema sintesi effettuata in tale occasione, avrebbe
fornito altri contributi tesi a ricostruire i singoli episodi oggetto di imputazione, in quanto
desideroso di collaborare con l’autorità giudiziaria con tutte le sue forze. Avendo in seguito
preso la parola in sede di discussione, Tanzi ha giustificato tale silenzio, protrattosi per oltre
due anni e mezzo, adducendo motivi di salute (che comunque non gli hanno impedito di
presenziare al dibattimento per rendere dichiarazioni spontanee) ed in ogni caso
respingendo l’accusa di reticenza rivoltagli dai PM nel corso della requisitoria. A tale
ultimo riguardo, Tanzi ha spiegato di avere in realtà fornito agli inquirenti la più ampia
collaborazione possibile, avendo ammesso le sue responsabilità in relazione ai fatti per cui
si procede (altri particolari in merito a determinate operazioni finanziarie non avrebbe
potuto fornirli, giacché erano Tonna e Zini che se ne occupavano nei dettagli, limitandosi
egli ad approvare le loro proposte) ed avendo anche compiutamente illustrato gli appoggi
politici su cui poteva contare il Gruppo Parmalat, a fronte di elargizioni in denaro ad
esponenti di partito.
Altra precisazione effettuata in sede di discussione che merita di essere riportata è quella
relativa al viaggio a Quito che Tanzi ha effettuato in compagnia della moglie a ridosso del
suo arresto. La coppia partì il 18 dicembre 2003 -ovvero non appena era pervenuta la
risposta ufficiale di Bofa in merito all’inesistenza del conto Bonlat- con volo Aliparma
Parma/Lisbona e prosecuzione con voli di linea, facendo rientro in Italia il giorno di Santo
Stefano. Ebbene, mentre nel corso delle indagini Tanzi aveva dichiarato che si era trattato
di un normale viaggio di piacere con tanto di escursione in un lago di montagna, nelle
ultime battute del processo ha affermato che l’Ecuador non è certamente un paradiso fiscale o una piazza finanziaria da cui si muovono capitali, come invece l’Uruguay o le Cayman Islands, ma tutt’al più un paese indicatogli come nazione dove l’estradizione verso l’Italia è particolarmente complessa e dalla quale egli era in ogni caso tornato volontariamente per affrontare le sue responsabilità. In tal modo, Calisto Tanzi ha voluto ribadire di non essersi recato in Ecuador per movimentare o occultare capitali e di aver messo a disposizione della
Procedura tutto quanto era nelle sue disponibilità.
Orbene, venendo ad una valutazione complessiva delle dichiarazioni dell’imputato, emerge con solare evidenza come l’immagine che Tanzi ha cercato di accreditare di sé -ovvero dell’imprenditore che ha a cuore solo il bene dell’azienda, dell’uomo che mai avrebbe voluto danneggiare chicchessia, della persona sprovveduta raggirata dagli istituti bancari- è palesemente sconfessata dalle risultanze processuali già illustrate, che danno conto ictu oculi della complessità degli affari cui il medesimo era avvezzo, dell’elevato numero di
società che lo vedeva coinvolto, della spregiudicatezza con cui ha sempre utilizzato gli schermi offerti dalla disciplina della personalità giuridica delle società di capitali in spregio delle ragioni creditorie, nonché più in generale dell’assoluta insensibilità dimostrata verso i terzi (soci, creditori, dipendenti e risparmiatori) in violazione di ogni canone di correttezza prescritto dall’ordinamento.
L’imputato ha riferito di avere avuto una conoscenza solo generica delle falsificazioni,
quasi si trattasse di qualcosa deliberato da altri (in particolare, da Tonna e Zini) che egli si è
trovato costretto a ratificare ex post, quando invece è emerso come sia a lui riferibile la
decisione di sostenere la sua azienda -sin dalla quotazione in borsa della holding- a mezzo
di bilanci truccati, nonché quella di ricorrere al mercato per ripianare le perdite derivanti da
cattivi investimenti, determinazioni che di certo non poteva prendere il solo Tonna,
nonostante il ruolo apicale dal medesimo rivestito, né tanto meno Zini, che era un
“consulente” esterno alla società. In proposito, deve essere chiarito che Tanzi è stato il
primo beneficiario del sistema di falsità su cui si è retto il Gruppo Parmalat e ciò non solo
in termini economici, atteso il tenore di vita dal medesimo mantenuto (aereo personale,
ville, imbarcazioni di lusso e quant’altro) e considerate le ingenti distrazioni a lui
addebitate, ma anche in termini di prestigio, avendo riguardo all’immagine di imprenditore
potente che l’imputato si é costruito nel tempo sia in ambito nazionale, che internazionale.
Di certo, anche Tonna e Zini hanno ricevuto cospicui vantaggi economici dai reati perpetrati sotto la direzione di Calisto Tanzi, ma si tratta pur sempre di beneficiari di secondo grado ed in ogni caso di strumenti fungibili da parte del dominus. E si badi che Tanzi non si è limitato a ordinare a Tonna e a Zini di falsificare i bilanci delle società del Gruppo e più in generale di porre in esse le manovre fraudolente a ciò necessarie, ma si è egli stesso adoperato nella ideazione dei singoli tecnicismi attraverso cui far apparire attività fittizie. Il riferimento è, in particolare, al business del latte in polvere della Bonlat, che Tonna ha ricordato di aver ideato congiuntamente a Calisto Tanzi, traendo
spunto da un commercio effettivo in precedenza intrattenuto da Parmalat in Sud America.
rilevanti delle falsificazioni, anche in merito all’utilizzo -prima della Bonlat- di Zilpa e
Curcastle quali società discarica, e che aveva immediatamente sottoposto al medesimo la
proposta avanzata da Penca e Bianchi sulla necessità di costituire la Bonlat, affinché GT
mantenesse la revisione sulle criticità sino ad allora occultate. Ed infatti, tale proposta
non poteva che essere approvata dall’imputato, in ragione della veste di dominus del
Gruppo ad egli riferibile.
Conseguentemente, l’imputato ha palesemente mentito quando ha
affermato di essere venuto a conoscenza solo in un secondo tempo della complicità dei
revisori GT. Tale conclusione risulta, altresì, avvalorata dalla deposizione di Bocchi, il
quale ha dichiarato che, nonostante fosse Tonna a gestire in prima persona i rapporti con i
revisori della GT e della DT, questi teneva costantemente ragguagliato Tanzi su ogni
problematica, come era accaduto in relazione all’episodio della certificazione dei proventi
fittizi derivanti dallo swap Sumitomo.
affermato di essere venuto a conoscenza solo in un secondo tempo della complicità dei
revisori GT. Tale conclusione risulta, altresì, avvalorata dalla deposizione di Bocchi, il
quale ha dichiarato che, nonostante fosse Tonna a gestire in prima persona i rapporti con i
revisori della GT e della DT, questi teneva costantemente ragguagliato Tanzi su ogni
problematica, come era accaduto in relazione all’episodio della certificazione dei proventi
fittizi derivanti dallo swap Sumitomo.
Che l’imputato fosse a perfetta conoscenza dei tecnicismi con cui si provvedeva a rattoppare l’instabile impalcatura su cui si sorreggeva il Gruppo emerge anche dalle dichiarazioni di Del Soldato il quale, come già illustrato, ha riferito che, a seguito dalla rimozione di Tonna dall’incarico di CFO, Tanzi lo aveva incaricato di perpetrare il sistema Bonlat “come si era sempre fatto sino ad allora”.
Del Soldato ha pure ricordato che Tanzi aveva redatto, congiuntamente a Zini, i comunicati
stampa relativi al Fondo Epicurum, così confermando come l’imputato non si sia limitato
ad approvare le falsità ideate da altri, ma le abbia congegnate in prima persona,
difendendole strenuamente. A tale ultimo proposito, non può non rimarcarsi che Tanzi, al fine di protrarre il sistema di falsità che gli consentiva di apparire uno dei più importanti imprenditori italiani, ha recitato la propria parte anche allorquando, nel momento del pericolo, ha ricevuto nel suo ufficio Verde, Penca e Bianchi per illustrare loro il significato strategico che assumeva per il Gruppo il commercio del latte in polvere, addirittura facendo delle previsioni -dimostrando una capacità inventiva davvero fuori dall’ordinario- su quelle che erano i piani di vendita che avrebbe adottato da lì a poco la società Fonterra, il presunto
produttore del latte commercializzato da Bonlat.
stampa relativi al Fondo Epicurum, così confermando come l’imputato non si sia limitato
ad approvare le falsità ideate da altri, ma le abbia congegnate in prima persona,
difendendole strenuamente. A tale ultimo proposito, non può non rimarcarsi che Tanzi, al fine di protrarre il sistema di falsità che gli consentiva di apparire uno dei più importanti imprenditori italiani, ha recitato la propria parte anche allorquando, nel momento del pericolo, ha ricevuto nel suo ufficio Verde, Penca e Bianchi per illustrare loro il significato strategico che assumeva per il Gruppo il commercio del latte in polvere, addirittura facendo delle previsioni -dimostrando una capacità inventiva davvero fuori dall’ordinario- su quelle che erano i piani di vendita che avrebbe adottato da lì a poco la società Fonterra, il presunto
produttore del latte commercializzato da Bonlat.
In conclusione, Calisto Tanzi non ha solo deliberato in termini generali la falsificazione
delle scritture contabili e dei bilanci delle società del Gruppo, ma ha coadiuvato attivamente
con contribuiti ideativi specifici i propri complici (id est egli non solo conosceva i
tecnicismi, ma ne era protagonista). Ad ogni modo, anche ad ammettere che Tonna e Zini abbiano dimostrato abilità di falsari superiori a quelle di Tanzi, non per questo la capacità criminosa dell’imputato può ritenersi di minor spessore: anzi, al contrario, l’aver scelto Tonna e Zini quali suoi principali complici, denota una spiccata propensione ad assoldare dei professionisti del falso di caratura eccezionale.
Si aggiunga, inoltre, che anche attraverso la figura di Tonna, il cui carattere “difficile” è già stato messo in evidenza, Tanzi è riuscito a creare un clima di omertà e timore all’interno dell’azienda, inducendo quei dipendenti reclutati per il compimento delle falsità a non affrontare tale tematica apertamente se non con Tonna o Del Soldato ovvero
esclusivamente con coloro dai quali ricevevano le direttive illecite.
L’istruttoria, peraltro, ha messo in evidenza come assai probabilmente le pedine di secondo piano come Bocchi e Pessina non abbiano ricevuto dei compensi straordinari per i loro servigi, con la conseguenza che i medesimi avrebbero assunto dei rischi così elevati solo per timore riverenziale e ammirazione verso Calisto Tanzi, il compaesano di Collecchio che dal nulla aveva creato un impero e che era diventato uno dei simboli dell’imprenditoria italiana
anche fuori confine.
anche fuori confine.
L’imputato, infatti, esercitava un grande carisma sui propri
dipendenti e di tale carisma ha approfittato per portare a delinquere delle persone che
autonomamente mai avrebbero preso iniziative di tal genere. Talvolta, l’istigazione è
avvenuta con l’inganno. Questo è il caso di Ferraris, al quale Tanzi ha occultato lo stato di
insolvenza del Gruppo nel momento in cui gli ha proposto la carica di Direttore Finanziario
al fine di rinnovare l’immagine della Parfin. Come innanzi rilevato, Tanzi ha negato tale
circostanza, ma sul punto è stato smentito, oltre che dallo stesso Ferraris (che per soldi ha
comunque accettato di effettuare lusinghiere presentazioni del Gruppo negli Stati Uniti),
anche da Del Soldato il quale ha riferito che Tanzi lo aveva addirittura incaricato di falsare
il sistema HQR per impedire a Ferraris di scoprire il disastroso andamento di molte
partecipate estere e così avere contezza del debito complessivo del Gruppo. D’altro canto,
Tanzi risulta aver mentito anche in merito alla distruzione delle carte Bonlat, dichiarandosi
completamente estraneo alla vicenda, ma tale profilo è già stata ampiamente trattato nel
paragrafo precedente cui si rimanda.
dipendenti e di tale carisma ha approfittato per portare a delinquere delle persone che
autonomamente mai avrebbero preso iniziative di tal genere. Talvolta, l’istigazione è
avvenuta con l’inganno. Questo è il caso di Ferraris, al quale Tanzi ha occultato lo stato di
insolvenza del Gruppo nel momento in cui gli ha proposto la carica di Direttore Finanziario
al fine di rinnovare l’immagine della Parfin. Come innanzi rilevato, Tanzi ha negato tale
circostanza, ma sul punto è stato smentito, oltre che dallo stesso Ferraris (che per soldi ha
comunque accettato di effettuare lusinghiere presentazioni del Gruppo negli Stati Uniti),
anche da Del Soldato il quale ha riferito che Tanzi lo aveva addirittura incaricato di falsare
il sistema HQR per impedire a Ferraris di scoprire il disastroso andamento di molte
partecipate estere e così avere contezza del debito complessivo del Gruppo. D’altro canto,
Tanzi risulta aver mentito anche in merito alla distruzione delle carte Bonlat, dichiarandosi
completamente estraneo alla vicenda, ma tale profilo è già stata ampiamente trattato nel
paragrafo precedente cui si rimanda.
A questo punto, deve essere evidenziato che a Tanzi deve essere riconosciuto un ruolo primario, oltre che per quanta riguarda le falsificazioni, anche per quanto concerne i rapporti con il settore bancario nel quale aveva moltissimi “agganci” (sino ad appoggiare con successo la candidatura di Silingardi in Cariparma) e con cui interloquiva anche in prima persona. A tale ultimo riguardo, basti ricordare le trattative relative al bond Deutsche Bank che nascono da un contatto personale dell’imputato con Armanini e che hanno portato
-per sua esclusiva determinazione- alla conclusione di un affare decisamente svantaggioso, ma che è servito a mantenere artificialmente in vita il Gruppo Parmalat ed a occultarne lo stato di decozione al mercato ancora per qualche tempo.
In proposito, deve osservarsi che Tanzi ha dichiarato il falso laddove ha riferito che, a partire dall’estate del 2003, era sua intenzione ricapitalizzare la holding ricorrendo al mercato (operazione che in ogni caso avrebbe potuto realizzare solo tacendo, ancora una volta, le reali condizioni del Gruppo, atteso che l’unica
condotta imposta dall’ordinamento in una situazione di tale genere era più semplicemente quella di portare i libri in Tribunale). Invero, sulla base di quanto dichiarato da Del Soldato, è emerso che il progetto di Tanzi fosse in realtà quello di cedere il Gruppo del Turismo ad un certo Manieri e, così, provvedere all’aumento di capitale della Parfin con quanto incassato da tale operazione; nonostante tale progetto risultasse di difficile attuazione, Tanzi ha continuamente rinviato la necessaria ricapitalizzazione sollecitata a più riprese
dallo stesso Del Soldato, con la finalità precipua di mantenere il controllo della società.
condotta imposta dall’ordinamento in una situazione di tale genere era più semplicemente quella di portare i libri in Tribunale). Invero, sulla base di quanto dichiarato da Del Soldato, è emerso che il progetto di Tanzi fosse in realtà quello di cedere il Gruppo del Turismo ad un certo Manieri e, così, provvedere all’aumento di capitale della Parfin con quanto incassato da tale operazione; nonostante tale progetto risultasse di difficile attuazione, Tanzi ha continuamente rinviato la necessaria ricapitalizzazione sollecitata a più riprese
dallo stesso Del Soldato, con la finalità precipua di mantenere il controllo della società.
Alla luce di quanto sin qui evidenziato, perdono rilievo le accuse che l’imputato ha rivolto alle banche. Ed infatti, se è vero che vi è stata una responsabilità di determinati istituti di credito, la cui posizione è oggetto di altro procedimento penale avanti il Tribunale di Milano, non è sulla base di tale assunto che il ruolo di Tanzi può essere ridimensionato, atteso che il “sostegno” che egli ha accettato dalle banche è servito a mantenere in vita un sistema di cui egli era -come già rilevato- ideatore e primo avvantaggiato. In altri termini, il
Collegio non esclude che alcuni istituti di credito possano aver lucrato illecitamente dal rapporto con il Gruppo Parmalat, quello che è certo, però, è che l’utilità primaria di tale rapporto è pur sempre riferibile al dominus del Gruppo, avendone Tanzi tratto vantaggio sotto diverse angolazioni, certamente quella economica, ma anche più in generale in punto di prestigio sociale. Per altro verso, si rileva che i falsi in bilancio -iniziati subito dopo la quotazione in borsa di Parfin- hanno preceduto l’intensificarsi del ruolo degli istituti bancari, che risale a metà degli anni novanta.
presso la Borsa di Milano erano naturalmente preordinate al mercato retail, come pure le
azioni della holding, e di tale circostanza Tanzi era ovviamente a conoscenza. Ancora una
volta, quindi, la responsabilità dell’imputato appare di una gravità davvero marcata ed anzi
si amplifica proprio alla luce delle giustificazioni dal medesimo fornite, che fanno apparire
alquanto sterile la sua ammissione di colpevolezza.
In ultima analisi, non appare sostenibile la tesi difensiva di Tanzi a mente della quale egli fosse soggiogato e/o sfruttato dalle banche. Al contrario, era egli sempre alla ricerca di un contatto con le stesse, finalizzato ad ottenere un supporto, peraltro ormai fragile, per il mantenimento in vita di una architettura societaria in decadimento. Si spiega, così, quella sorta di “accanimento terapeutico” costituito dalla ricerca disperata di finanziamenti che
necessitavano, giustappunto, di una sponda bancaria. D’altro canto, la pervicacia a
mantenere in vita il suo impero Tanzi l’ha dimostrata sino all’ultimo anche nei rapporti con
la Consob, avendone ostacolato in ogni modo gli accertamenti e non cogliendo
l’opportunità di svelare la realtà nemmeno in sede di audizione presso tale organo di
vigilanza, avvenuto a pochissimi giorni dal default. L’arroccamento di Tanzi si è perpetuato
davvero senza soluzione di continuità per tutto il 2003. Ed infatti, a fronte dei ripetuti
richiami a fare un passo indietro provenienti da più persone, egli non si è mosso, perdendo l’occasione di arginare i danni già subiti dagli investitori ed anzi creandone di ulteriori, anche a mezzo della collocazione di nuovi titoli sul mercato. Sotto tale profilo, si ricorda
che Del Soldato ha insistito a più riprese senza successo per una ricapitalizzazione della
Parfin, ma soprattutto assai emblematico è il colloquio Tanzi/Ferraris. Quest’ultimo, una volta scoperto il vero ammontare del debito complessivo del Gruppo, aveva suggerito a Tanzi di incontrare le banche per illustrare loro la reale situazione finanziaria e predisporre un piano di rientro, suggerimento non accolto dall’imputato, il quale significativamente aveva risposto, dandogli in sostanza del matto.
Conclusivamente, Tanzi deve ritenersi l’ideatore e il promotore di tutte le condotte illecite
poste in essere dagli esponenti del Gruppo Parmalat; era lui, infatti, ad assumere ogni
decisione in merito alle falsificazioni, ad approvare le operazioni bancarie svantaggiose per
il Gruppo (ma che servivano a introitare liquidità nel tentativo di occultare l’emersione
dello stato di insolvenza), a firmare ogni documento rilevante, ad approvare i comunicati
stampa e le risposte alla Consob, con la conseguenza che -sulla base di quanto verrà
ulteriormente precisato nei paragrafi che seguono- egli deve essere dichiarato responsabile
dei reati contestati ai capi A), B), C) e D) della rubrica. I reati in parola devono ritenersi
unificati nel vincolo della continuazione, attesa l’evidente attuazione di un identico ed
originario disegno criminoso in ragione del perseguimento di un unico scopo e del
medesimo contesto in cui si è svolta la vicenda: ed invero, già nel lontano 1990, Tanzi
aveva deciso di diventare il dominus di uno dei più importati gruppi imprenditoriali italiani a costo di frodare il mercato, deliberando di falsificare i bilanci e di porre in essere qualsiasi altra condotta necessaria all’occultamento di tale tragica verità (false informazioni al mercato, alla Consob e nelle relazioni delle società dei revisori), determinazione che in effetti ha attuato sino al dicembre del 2003.
poste in essere dagli esponenti del Gruppo Parmalat; era lui, infatti, ad assumere ogni
decisione in merito alle falsificazioni, ad approvare le operazioni bancarie svantaggiose per
il Gruppo (ma che servivano a introitare liquidità nel tentativo di occultare l’emersione
dello stato di insolvenza), a firmare ogni documento rilevante, ad approvare i comunicati
stampa e le risposte alla Consob, con la conseguenza che -sulla base di quanto verrà
ulteriormente precisato nei paragrafi che seguono- egli deve essere dichiarato responsabile
dei reati contestati ai capi A), B), C) e D) della rubrica. I reati in parola devono ritenersi
unificati nel vincolo della continuazione, attesa l’evidente attuazione di un identico ed
originario disegno criminoso in ragione del perseguimento di un unico scopo e del
medesimo contesto in cui si è svolta la vicenda: ed invero, già nel lontano 1990, Tanzi
aveva deciso di diventare il dominus di uno dei più importati gruppi imprenditoriali italiani a costo di frodare il mercato, deliberando di falsificare i bilanci e di porre in essere qualsiasi altra condotta necessaria all’occultamento di tale tragica verità (false informazioni al mercato, alla Consob e nelle relazioni delle società dei revisori), determinazione che in effetti ha attuato sino al dicembre del 2003.
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