lunedì 8 febbraio 2010

Il processo come lotta e come punizione nel medioevo

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(...) quaestio come supplizio di verità. Prima di tutto la quaestio non è un mezzo per strappare la verità a qualunque costo; non è la tortura scatenata degli interrogatori moderni; è crudele, certo, ma non selvaggia. Si tratta di una pratica che ha le sue regole, che obbedisce ad una procedura ben definita; momenti, durata, strumenti utilizzati, lunghezza delle corde, pesantezza dei pesi, numero dei cunei, interventi del magistrato che interroga, tutto questo, secondo le differenti consuetudini, è accuratamente codificato.

La quaestio è un gioco giudiziario rigoroso. E, a questo titolo, al di là delle tecniche dell'Inquisizione, si riallaccia alle antiche prove che avevano luogo nelle procedure accusatorie: ordalie, duelli giudiziari, giudizi di Dio.

Tra il giudice che ordina la quaestio e il sospettato che è torturato si svolge ancora quasi una sorta di combattimento cavalleresco; il "paziente" - è il termine con cui si designa il suppliziato - è sottomesso ad una serie di prove, graduate in severità, e nelle quali egli vince "tenendo" e perde confessando.

- Il primo grado del supplizio era lo spettacolo degli strumenti. Ci si limitava a questo stadio per i bambini ed i vecchi di più di settant'anni. -

Ma il giudice non impone la quaestio senza correre, da parte sua, dei rischi (e non è solo il pericolo di vedere morire il sospettato); egli pure mette nella partita una posta, gli elementi di prova che ha già riuniti; poichè la regola vuole che se l'accusato "tiene" e non confessa, il magistrato sia costretto ad abbandonare l'accusa. Il suppliziato ha vinto.

Di qui l'abitudine che era stata introdotta per i casi più gravi, d'imporre la quaestio "con riserva di prova": in questo caso il giudice poteva, dopo le torture, far valere le presunzioni che aveva riunite; l'accusato non veniva scagionato dalla sua resistenza, ma perlomeno doveva alla sua vittoria di non poter più essere condannato a morte. Il giudice teneva in mano tutte le sue carte, salvo la principale. Omnia citra mortem.

Di qui la raccomandazione spesso rivolta ai giudici di non sottomettere alla quaestio un sospetto sufficientemente carico di prove, per i crimini più gravi, poichè se avesse resistito alla tortura, il giudice non avrebbe più avuto il diritto di infliggergli la condanna a morte, che tuttavia meritava; in questo scontro, la giustizia sarebbe stata perdente: se le prove sono sufficienti "per condannare un tal colpevole a morte", non bisogna "azzardare la condanna alla sorte ed all'avvenimento di una quaestio, sentenza provvisoria che spesso non conduce a niente; poichè infine è proprio della salute e dell'interesse pubblico fare degli esemi di crimini gravi, atroci, capitali."

Sotto l'apparente ricerca accanita di una verità non maturata poco a poco, ritroviamo nella tortura classica il meccanismo ben regolato di una competizione: una sfida fisica che deve decidere della verità; se il paziente è colpevole, le sofferenze che essa impone sono ingiuste; ma essa è anche segno di discolpa se egli è innocente. Affrontamento, sofferenza e verità sono, nella pratica della tortura, legate tra loro: lavorano in comune il corpo del paziente. La ricerca della verità per mezzo della quaestio è pur sempre un modo di far apparire un indizio, il più grave di tutti - la confessione del colpevole; ma è anche battaglia, ed è la vittoria di un avversario sull'altro che "produce" ritualmente la verità. Nella tortura, per far confessare, c'è inchiesta ma c'è anche duello.

Nello stesso modo vi si mescolano un atto istruttorio ed un elemento di punizione. E non è questo uno dei suoi paradossi minori. Essa viene in effetti definita come un modo per completare la dimostrazione allorchè "Non esistono nel processo prove sufficienti". Viene classificata tra le pene; ed è pena così grave che, nella gerarchia dei castighi, l'Ordinanza del 1670 la inscrive subito dopo la morte. In qual modo una pena può essere impeigata come un mezzo, ci si chiederà più tardi? Come si può far valere a titolo di castigo quello che dovrebbe essere un processo di dimostrazione? La ragione sta nel modo in cui la giustizia criminale, nell'epoca classica, faceva funzionare la produzione della verità.

Le diverse parti della prova non costituivano un tutto come altrettanti elementi neutri, non attendevano di essere riunite in un unico fascicolo per apportare la certezza finale della colpevolezza. Ogni indizio portava con sè un grado di abominio. La colpevolezza non iniziava dopo che tutte le prove fossero riunite; pezzo a pezzo, essa veniva costituita da ciascuno degli elementi che permettevano di riconoscere un colpevole.

Così una semiprova non lasciava il sospettato innocente, finchè non fosse completata: ne faceva un semicolpevole; l'indizio, anche lieve di un crimine grave, segnava qualcuno come "un po'" criminale. In breve, la dimostrazione in materia penale non obbediva ad un sistema dualista: vero o falso; ma ad un principio di graduazione continua: un grado raggiunto nella dimostrazione formava già un grado di colpevolezza e implicava per conseguenza un grado di punizione. Il sospettato, in quanto tale, meritava sempre un certo castigo; non si poteva essere innocentemente oggetto di un sospetto. Il sospetto implicava, nello stesso tempo, da parte del giudice un elemento di dimostrazione, da parte del prevenuto il segno di una certa colpevolezza e da parte della punizione una forma limitata di pena. Un sospettato, che rimanesse tale, non era per questo scagionato, ma parzialmente punito.

Quando si era pervenuti ad un certo grado di presunzione, si poteva dunque legittimamente mettere in gioco una pratica che aveva un doppio ruolo: cominciare a punire in virtù delle indicazioni già raccolte e servirsi di questo inizio di pena per estorcere il resto di verità ancora mancante. La tortura giudiziaria, nel secolo XVIII, funziona in questa strana economia in cui il rituale che produce la verità va di pari passo col rituale impone la punizione. Il corpo interrogato nel supplizio e il punto di applicazione del castigo e il luogo di estorsione della verità. E come la presunzione è solidamente un elemento dell'inchiesta ed un frammento di colpevolezza, la sofferenza regolata dalla tortura è insieme una misura per punire ed un atto istruttorio.

da "Sorvegliare e punire" di Michel Focault

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