
Aggravante della ‘clandestinità’
(art. 61 n. 11 bis c.p.)
Uguaglianza calpestata
di Gian Luigi Gatta
Uguaglianza calpestata
di Gian Luigi Gatta
L’affinità con altre aggravanti comuni e, in particolare, con quella della ‘latitanza’ (art. 61 n. 6 c.p.)
Un (...) gruppo di interventi di esponenti del Governo e della maggioranza parlamentare ha (...) argomentato la legittimità costituzionale dell’aggravante della clandestinità cercando di mostrarne l’affinità con altre aggravanti comuni di carattere soggettivo, già contemplate nel catalogo dell’art. 61 c.p. e ritenute – almeno ad oggi – costituzionalmente legittime.
a) Un primo curioso accostamento riguarda l’aggravante dell’abuso di ospitalità (art. 61 n. 11 c.p.: “l’avere commesso il fatto […] con abuso di ospitalità”). Ha affermato il Sen. Mazzatorta (Lega Nord): “non solo le aggravanti legate a situazioni personali non sono una novità nel nostro ordinamento ma in un certo senso l’aggravante prevista dal decreto legge non fa che trasferire su un piano diverso la logica dell’aggravante prevista dal n. 11 dell’art. 61 del codice penale relativa ai reati commessi con abuso di ospitalità offerta dalle vittime”.
Il ‘clandestino’, secondo questa (pretesa) logica, sarebbe un ospite in casa d’altri (la ‘casa degli italiani’), che viola “il patto di ospitalità che lo Stato ha fatto con gli stranieri con la legge Bossi-Fini (entri regolarmente se hai un lavoro, una casa e non sei un onere eccessivo per le già esigue finanze statali e comunali)”.
L’accostamento con l’aggravante dell’abuso di ospitalità è però “insensato”: quell’aggravante dà rilievo a una situazione affatto diversa, ossia a ipotesi di particolarevulnerabilità del bene giuridico derivanti da una relazione interpersonale – quella diospitalità – che può facilitare la commissione del reato. D’altra parte, il ‘clandestino’ che entra o permane illegalmente in Italia – senza il ‘consenso’ dello Stato – è ben lungi dall’essere una persona ospitata nel nostro Paese: sarebbe come dire che l’autore del delitto di violazione di domicilio è ospite del proprietario dell’abitazione nella quale si
introduce illegalmente; e nessuno penserebbe di ritenere aggravato dall’abuso di ospitalità il furto commesso dall’intruso in quell’abitazione.
L’accostamento con l’aggravante dell’abuso di ospitalità è però “insensato”: quell’aggravante dà rilievo a una situazione affatto diversa, ossia a ipotesi di particolarevulnerabilità del bene giuridico derivanti da una relazione interpersonale – quella diospitalità – che può facilitare la commissione del reato. D’altra parte, il ‘clandestino’ che entra o permane illegalmente in Italia – senza il ‘consenso’ dello Stato – è ben lungi dall’essere una persona ospitata nel nostro Paese: sarebbe come dire che l’autore del delitto di violazione di domicilio è ospite del proprietario dell’abitazione nella quale si
introduce illegalmente; e nessuno penserebbe di ritenere aggravato dall’abuso di ospitalità il furto commesso dall’intruso in quell’abitazione.
b) Più interessante è l’accostamento proposto, anche da parte di membri del Governo, tra l’aggravante della clandestinità e quella c.d. della latitanza (art. 61 n. 6 c.p.: “l’avere il colpevole commesso il reato durante il tempo, in cui si è sottratto volontariamente alla esecuzione di un mandato o di un ordine di arresto o di cattura o di carcerazione, spedito per un precedente reato”).
Ha domandato retoricamente il Sottosegretario al Ministero dell’Interno Mantovano: “quale differenza c’è tra il sottrarsi alla carcerazione o all’espulsione?”.
A ben vedere – questa è la tesi – il clandestino non si comporterebbe poi così diversamente dal latitante: “in un caso come nell’altro non si rispetta un ordine dell’autorità (la carcerazione in un caso, l’ordine di espulsione nell’altro)”.
La ragion d’essere delle due aggravanti sarebbe in buona sostanza la
stessa, e risiederebbe – come ha riconosciuto la Cassazione a proposito dell’aggravante della latitanza, nel dichiarare infondata una questione di legittimità costituzionale di quell’aggravante per contrasto con gli artt. 3, 25 e 27 Cost. – “nel diverso e più intenso grado di ribellione all’ordine costituito insito in colui che non si sottomette al potere coercitivo dello Stato sottraendosi ai provvedimenti restrittivi della libertà personale, e contemporaneamente commetta nuovi reati”. Emblematico in tal senso l’intervento del sen. Mazzatorta (Lega Nord): “il clandestino che entra nel territorio dello Stato, senza alcun rispetto delle procedure, delle norme d’ingresso e di soggiorno nel nostro Stato, violando il patto di ospitalità che lo Stato ha fatto con gli stranieri con la legge Bossi-Fini (entri regolarmente se hai un lavoro, una casa e non sei un onere eccessivo per le già esigue finanze statali e comunali), il clandestino che non rispetta le nostre frontiere, manifesta o no una ribellione al potere principale di uno Stato democratico, che è quello di far rispettare le proprie frontiere e quindi la sovranità dello Stato, il primo bene costituzionalmente rilevante? Ecco perché l’aggravante della clandestinità, ricollegandosi ad una condizione soggettiva di ribellione alle regole essenziali di uno Stato democratico, di ribellione alla sovranità dello Stato, è legittima dal punto di vista costituzionale”; “chi non rispetta le nostre frontiere, chi non rispetta le nostre regole d’ingresso e di soggiorno, chi, in virtù della sua condizione di clandestinità, mette a rischio la sicurezza pubblica, manifestando un forte grado di ribellione alle nostre regole, in caso di commissione di un reato deve avere un aggravamento di pena”.
stessa, e risiederebbe – come ha riconosciuto la Cassazione a proposito dell’aggravante della latitanza, nel dichiarare infondata una questione di legittimità costituzionale di quell’aggravante per contrasto con gli artt. 3, 25 e 27 Cost. – “nel diverso e più intenso grado di ribellione all’ordine costituito insito in colui che non si sottomette al potere coercitivo dello Stato sottraendosi ai provvedimenti restrittivi della libertà personale, e contemporaneamente commetta nuovi reati”. Emblematico in tal senso l’intervento del sen. Mazzatorta (Lega Nord): “il clandestino che entra nel territorio dello Stato, senza alcun rispetto delle procedure, delle norme d’ingresso e di soggiorno nel nostro Stato, violando il patto di ospitalità che lo Stato ha fatto con gli stranieri con la legge Bossi-Fini (entri regolarmente se hai un lavoro, una casa e non sei un onere eccessivo per le già esigue finanze statali e comunali), il clandestino che non rispetta le nostre frontiere, manifesta o no una ribellione al potere principale di uno Stato democratico, che è quello di far rispettare le proprie frontiere e quindi la sovranità dello Stato, il primo bene costituzionalmente rilevante? Ecco perché l’aggravante della clandestinità, ricollegandosi ad una condizione soggettiva di ribellione alle regole essenziali di uno Stato democratico, di ribellione alla sovranità dello Stato, è legittima dal punto di vista costituzionale”; “chi non rispetta le nostre frontiere, chi non rispetta le nostre regole d’ingresso e di soggiorno, chi, in virtù della sua condizione di clandestinità, mette a rischio la sicurezza pubblica, manifestando un forte grado di ribellione alle nostre regole, in caso di commissione di un reato deve avere un aggravamento di pena”.
A prima vista le aggravanti soggettive della clandestinità e della latitanza potrebbero apparire analoghe: danno entrambe rilievo a condizioni personali proprie del colpevole al momento della commissione del reato. Si tratta, tuttavia, di condizioni personali affatto diverse, che non possono essere poste sullo stesso piano senza violare il principio costituzionale di uguaglianza/ragionevolezza.
Il latitante ha la consapevolezza di essere ricercato in conseguenza della (effettiva o meno) commissione di un reato, e volontariamente si sottrae all’esecuzione di un provvedimento restrittivo della libertà personale, che sa essere stato emesso nei suoi confronti. Il ‘clandestino’ cui si riferisce l’art. 61 n. 11 bis c.p., invece, non è un soggetto in fuga da un provvedimento emesso nei suoi confronti, che lo ritiene responsabile di un reato. Il destinatario dell’aggravante ggetto di studio non è infatti colui che si sottrae a un provvedimento di espulsione che, a qualunque titolo, sa essere stato emesso nei suoi confronti: per come è formulato l’art. 61 n. 11-bis c.p. ‘clandestino’ non è lo straniero irregolare già espulso che si sottrae all’ordine, che sa essere stato emesso a suo carico, di allontanarsi dal territorio nazionale.
E’ invece lo straniero ivi illegittimamente presente, a prescindere dall’emissione, nei suoi confronti, di un provvedimento di espulsione. La maggioranza parlamentare non ha infatti approvato l’emendamento al testo dell’introducendo art. 61 n. 11 bis c.p., presentato dall’opposizione, che proponeva di configurare come aggravante la commissione del reato, da parte dello straniero irregolare, “nel periodo in cui si è sottratto volontariamente all’ordine di espulsione o di allontanamento”: un emendamento che avrebbe indubbiamente reso la nuova aggravante analoga a quella della ‘latitanza’.
E’ invece lo straniero ivi illegittimamente presente, a prescindere dall’emissione, nei suoi confronti, di un provvedimento di espulsione. La maggioranza parlamentare non ha infatti approvato l’emendamento al testo dell’introducendo art. 61 n. 11 bis c.p., presentato dall’opposizione, che proponeva di configurare come aggravante la commissione del reato, da parte dello straniero irregolare, “nel periodo in cui si è sottratto volontariamente all’ordine di espulsione o di allontanamento”: un emendamento che avrebbe indubbiamente reso la nuova aggravante analoga a quella della ‘latitanza’.
Una volta respinto quell’emendamento, non ha però più senso (ed è fuorviante) domandare “quale differenza c’è tra il sottrarsi alla carcerazione o all’espulsione?”: viene meno ogni possibile accostamento tra le due aggravanti in discorso.
E’ un accostamento, d’altra parte, che non può essere argomentato nemmeno invocando un’analogia con la ratio dell’aggravante per i reati commessi dal latitante, che – come si legge nella Relazione del Guardasigilli Rocco al Progetto definitivo del codice penale – risiede nella “maggiore pericolosità” rivelata dal soggetto che non desiste dal delinquere neppure quando è sotto il peso di un mandato o di un ordine di arresto o di cattura o di una condanna, cioè quando sa di essere braccato dall’Autorità giudiziaria.
Commettendo un reato mentre si trova in quello stato, il latitante – ha affermato la Cassazione – dimostra “in tal modo la sua pericolosità sociale sotto il […] profilo della insensibilità al freno della legge penale che non esita a continuare a violare, pur sapendo di essere colpito da un provvedimento di giustizia tendente a privarlo della sua liberta personale”. Così facendo il latitante mostra un grado di “ribellione” all’ordine costituito “diverso e più intenso” di quello normalmente insito nella violazione volontaria di qualsiasi norma imperativa – comprese quelle che regolano l’ingresso e la permanenza
nello Stato degli stranieri – e, pertanto, ragionevolmente apprezzabile quale sintomatico di una maggiore pericolosità sociale e, conseguntemente, di un maggior bisogno di pena.
c) Nelle riflessioni di parte della dottrina e nelle ordinanze che hanno sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 61 n. 11 bis c.p.139 – non anche nei lavori parlamentari – è stato infine prospettato, per essere subito privato di fondamento, l’accostamento con l’aggravante della recidiva. Orbene, a noi pare che le aggravanti soggettive della ‘clandestinità’ e della recidiva non abbiano, almeno dal punto di vista strutturale, alcunché in comune: solo la recidiva si riferisce a chi commette un delitto non colposo dopo essere stato condannato con sentenza definitiva per un precedente delitto non colposo, rivelandosi così insensibile all’ammonimento della precedente condanna. Ed è questa insensibilità che può o – nell’ipotesi di recidiva obbligatoria introdotta dalla legge ex Cirielli nel comma 5 dell’art. 99 c.p., relativa ai gravi reati previsti dall’art. 407, co. 2 lett. a) c.p.p. – deve indurre il giudice a formulare un giudizio di accentuata capacità a delinquere, che giustifica l’aumento di pena per il recidivo.
Niente a che vedere con l’aggravante oggetto di studio, che accolla al ‘clandestino’ un aumento di pena per il solo fatto di aver commesso un reato mentre si trova illegalmente sul territorio nazionale; senza richiedere, si badi, che quel reato sia stato commesso dopo l’intervento di un provvedimento amministrativo che abbia sanzionato (con l’espulsione) l’illegale ingresso o permanenza sul territorio nazionale o, se sarà introdotto il reato di immigrazione clandestina, dopo la pronuncia di una sentenza definitiva di condanna per quel reato.
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