giovedì 4 febbraio 2010

Il nostro abisso

.
http://www.repubblica.it/esteri/2010/01/17/foto/ruba_ai_cadaveri_linciato_e_ucciso-1978991/1/ - Foto shock, sciacallo sorpreso tra le macerie - Alcune di queste immagini potrebbero turbare la sensibilità dei lettori

--------------------------------------------------------------------

La fotografia del nostro abisso
da La Repubblica del 18/01/2010 - di Vittorio Zucconi

Si vorrebbe poter dire: ma quelli non siamo noi. Quelli ripresi da un telefonino a Port-auPrince attorno al corpo morto e violato di un ladro sono demoni affiorati dalle crepe aperte nel suolo dal terremoto, come nei film d' orrore.

Si vorrebbe non vedere e non guardare le foto del linciaggio e della profanazione del cadavere dello sciacallo a Haiti, per credere che appartengano a un altro pianeta, a un' altra dimensione, a un tempo che noi, con la nostra giurisprudenza, lo stato, i codici, l' autorità, il patto civile di convivenza che affida ai magistrati e non ai machete il castigo dei colpevoli, abbiamo superato per sempre.

Si vorrebbe, ma non si può, perché quello che sconvolge e nausea non è la distanza, ma la prossimità. E' la conferma che tutti gli uomini, messi nelle circostanze giuste, siano capaci di tutto. Non è il sabba infernale attorno al corpo di un disperato più disperato degli altri sorpreso a rubare a chi non ha nulla a provocare il raccapriccio che ci afferra, è la documentazione dell' atto, sono la sua visibilità e le immagini. Leggere resoconti di orrore, racconti e testimonianza da un popolo e da una città riportati allo stato di natura, è tollerabile perché frammette tra noi e la realtà la mediazione del narratore, per efficace che sia la sua narrazione. Ma vedere è insopportabile.

Ancor più della oscenità dei risultati, è stata la sequenza dei jet che penetrano nelle Torri Gemelle e il loro collasso in diretta che ha reso, e renderà per sempre, incancellabile l' 11 settembre. Di fatti come questo linciaggio, nel quale l' immagine forse più raggelante è quella del ragazzo curvo sul cadavere per riprenderlo con il telefonino nella convergenza di tecnologia e di barbarie, accadono certamente a dozzine, se non a centinaia, nell' Haiti dove la sopravvivenzaè affidata a una spranga e l' ordine pubblico alle ronde di vigilanti con il machete.

Ma questo è stato documentato e nell' età di Internet, di You Tube, dei social network, resterà indelebile per sempre negli archivi della nuova memoria assoluta.

Possiamo non guardarli, ma non possiamo fingere che non esistano. E possiamo trovare un conforto ipocrita nel sapere che non esistono fotografie o filmati che documentino a colori e in buona definizione quello che accadde dentro il Superdome di New Orleans nel 2003 dopo Katrina, quando 25 mila profughi restarono chiusi per tre giorni dentro un palazzo dello sport senza acqua, viveri o servizi sanitari, mentre negli ospedali i medici e gli infermieri decidevano in silenzio chi lasciar morire e chi salvare, per mancanza di elettricità o di strumenti, nell' attesa dei soccorsi.

Disumanità asettica e scientificamente giustificata, con bisturi e flebo al posto dei machete. Non ci sono fotografie o filmati, se non a posteriori, dell' orrore di Falluja in Iraq, dove i corpi di americani furono dissacrati, bruciati , rosolati nella cenere e appesi ai lampioni o dei soldati del Black Hawk abbattuto a Mogadiscio o delle esecuzioni di massa dei kosovari nella "pulizia etnica". Non c' erano telefonini con videocamera per riprendere gli innocenti gettati vivi nelle foibe carsiche, per i bambini aggrappati alle loro madri nello stanzone delle "docce" al Zyklon B mentre erano gassatie nessuno ha documentato le fine dei "barboni" bruciati vivi oggi, qui nelle grandi città italiane.

Noi non siamo come loro, siamo troppo "civili" ed evoluti per riprendere e immortalare i nostri orrorie per documentare quanto sia sottile, e fragile, la membrana che separa la civiltà dalla barbarie, l' Italia di Beccaria dall' Italia delle carceri dei suicidi, la città per bene dalla città per male. Fingiamo di credere che sia la nostra superiore evoluzione a risparmiarci quello che sta accadendo a Haiti. Mentre sono soltanto l' attesa, e la ragionevole certezza, che presto o tardi qualcuno arriverà, che la cavalleria dei soccorsi spunterà dietro la collina, che hanno fermato New Orleans sul limitare dell' abisso quando i saccheggiatori si erano impadroniti della cittàe la polizia aveva l' ordine di sparare a vista.

Dove l' autorità è invece il braccio armato della violenza al potere, dove il futuro e la sopravvivenza dei propri figli si misurano nel mucchietto di stracci e di cianfrusaglia rubata che lo sciacallo massacrato, forse anche lui padre di qualcuno, portava con sé, diventa difficile giudicare. E necessario guardare. Quale pietas, quale cultura, quale umanità fermerebbero la collera di un padre che sa di dovere essere solo contro tutti gli altri uomini per cercare di salvare la vita di un figlio con un pacco viveri o una scatola di antibiotici?
Le cartoline dall' abisso che ci arrivano da Haiti, in tutta la loro insopportabilità, non sono purtroppo fuori dallo spettro dei comportamenti umani. Sono ancora dentro, all' estremo opposto del vigile del fuoco o del volontario che sacrifica la propria vita per portare in salvo un alluvionato o una anziana intrappolata, come è accaduto nella catastrofe di Messina appena quattro mesi or sono. In quella stessa Sicilia dove figli di mafiosi possono essere sciolti nell' acido e magistrati polverizzati con il tritolo.

Si è sentito, e si sente in queste ore, parlare di possibile "guerra civile" attorno alle rovine della mezza isola, forse di scontri alla frontiera con la Repubblica Dominicana, dove le folle di profughi sono state fermate e respinte da una nazione che con enorme fatica si è sollevata non di molto dalla sua coinquilina isolana e deve difenderei paradisi tropicali per i turisti americani ed europei che alimentano con soldi di espatriati ed evasori la sua crescita. Ma una guerra civile, uno scontro fra parti opposte per la conquista del potere anche a prezzo di sangue, potrebbe almeno prefigurare un vincitore, un governo futuro, invece di questa giustizia sommaria, di questo linciaggio del vivo e del morto. Sarebbe paradossalmente quasi un progresso, rispetto allo stato di natura che oggi regna a Haiti e che queste fotografie ci hanno documentato.
Dunque, meglio non guardarle, voltare gli occhi e la pagine, prima che affiori il dubbio che quel ragazzo col telefonino, o quel monatto che profana il cadavere - spogliato perché la profanazione sia ancora più simbolica - appeso per i piedi, potremmo essere noi. O, peggio, siamo stati anche noi.

Nessun commento:

Posta un commento