
Il lungo sogno fra est e ovest
da "La Repubblica" del 7/07/2009 - di Vittorio Zucconi
Esattamente 64 anni dopo l' esplosione di «Trinity», il primo ordigno atomico costruito dall' umanità, il 16 luglio del 1945 ad Alamogordo, tocca adesso a Barack Obama e a Vladimir Putin tentare l' impresa forse ormai impossibile di riportare il genio «distruttore di mondi» dentro la bottiglia dalla quale fu improvvidamente liberato.
Quello che non è riuscito a otto presidenti americani, da Eisenhowera Bush il Giovane,e non vollero, o non seppero fare Krusciov, Brezhnev, Gorbaciov ed Elstin ora cerca di fare Obama con il recalcitrante Putin. Lo fa seguendo un lungo binario di accordi per il controllo e la riduzione dei reciproci arsenali che danzano agilmente da un acronimo all' altro, Salt 1, poi Salt 2, ora Start, ma continuano a lasciare russi e americani in possesso di gigantesche scorte di ordigni, contati a migliaia, mentre troppi demenziali aspiranti giocano alla mini superpotenza nucleare.
Per la generazione dei «figli della bomba» o suoi fidanzati come ormai siamo tutti, i 64 anni trascorsi fra Hiroshima a questo «nuovo inizio» di dialogo sulle testate nucleari sono stati un percorso di progressi a singhiozzo. Un viaggio di paure tremende e di speranze, alle quali ora possiamo aggiungere anche questa timida «rasputitza», come in russo si chiama il disgelo.
A ogni avvicendarsi di leader alla Casa Bianca o sulla Piazza Rossa, siano essi democratici, repubblicani, falchi, colombe, despoti comunisti o post comunisti, il viaggio infinito sembra ricominciare, per bloccarsi, e poi ripartire, senza che mai il traguardo immaginario, quello che Ronald Reagan chiamava «l' opzione zero-zero», l' azzeramento reciproco degli arsenali, sia faccia visibile o realistico.
Ma se le cifre che abbiamo sentito fare ieri a Mosca nel tentativo di preaccordo - perchè questo è - fra Obama e Medvedev sono insieme incoraggianti e più audaci di ogni altro trattato, il dramma dell' impresa impossibile si è fatto ancora più intenso di quanto fosse negli anni dei primi catastrofici fallimenti fra Krusciov, l' Eisenhower dell' U2 abbattuto nel 1960 o il Kennedy giudicato dall' ex contadino ucraino come un «ragazzo inesperto».
Nel 1963, quando per tre giorni d' ottobre il mondo guardò negli occhi il possibile avversarsi della cupa profezia di Oppenheimer davantri a Trinity, la prima generazione di «figli della bomba» aveva almeno la certezza che, trovato «l' inghippo» su Cuba per salvare la faccia a Usa e Urss, il genio malefico sarebbe stato sotto controllo.
La certezza della reciproca distruzione, la «Mad», Mutual Assured Destruction come l' ennesimo acronimo indicava aveva almeno garantito il sonno degli arsenali, anche se il numero di testate, la loro precisione, la loro capacità di moltiplicarsi e percorrere tragitti indipendenti aveva superato le 25 mila complessive, garantendo la morte di ogni creatura vivente sulla terra «per sette volte», come aveva detto, tristemente scherzando nell' assurdo, l' astrofisico Carl Sagan.
Gli scenari alla Kubrick nel suo Stranamore erano diventati via via meno credibili, con l' aumentare della comunicazione dirette fra Washington e Mosca anche oltre la mitica telescrivente sempre attiva. E sulla realtà oggettiva di questa certezza dell' impossibilità di «vincere», si era innestata la disponibilità soggettiva di leader decisi e mettere freno a una gara ormai priva di ogni senso strategico o politico. Nixon il fiero anticomunista «duro e puro», poi Ford, il successore designato, Carter il mite, poi Reagan il crociato contro l' Impero del Male, tutti, dal primo Strategic Arms Limitation Treaty, il Salt 1, firmato a Mosca nel 1972 per limitare la crescita delle testate e dei mezzi per lanciarle, misero il proprio nome accanto a quello del «nemico».
Persino Ronald Reagan, che era stato sorpreso in fuori onda a dire, scherzando, «cari concittadini, da pochi minuti abbiamo cominciato il bombardamento dell' Unione Sovietica» e che aveva esasperato il Cremlino con la sua, allora immaginaria, «muraglia spaziale» antimissile, divenne colui che si sarebbe appartato con Gorbaciov in un bosco di Ginevra per convincerlo al salto di qualità, cioè alla riduzione, non più soltanto alla limitazione della crescita.
E poco dopo, a Rejkjavik, nella casetta bianca sul porto islandese troppo piccola per contenere le delegazioni costrette a incontrarsi anche nei bagni, avrebbe sbigottito tutti, compresi i suoi collaboratori e ministro, proponendo a «Gorby» lo zero a zero. Ma quell' accordo per una volta davvero «storico» firmato da Reagan e Gorbaciov nel 1991 precedette di soli cinque mesi il collasso definitivo dell' Urss regalando all' America e all' Occidente la più ironica delle vittorie.
Quando il genio parve finalmente ridimensionato, il crollo dell' Urss, il trionfo della jihad islamica in Afghanistan, nutrita e incoraggiata da Washington in funzione anti Urss, e i primi, visibili progressi della Cina, segnalarono che il male si stava metastasizzando.
E che il genio malefico cominciava a estendere il proprio richiamo ben oltre quella rotaia Mosca - Washington sulla quale aveva viaggiato per mezzo secolo. Dunque il possibile, se non probabile ormai, accordo fra Obama e Putin per ridurre ancora l' entità dei loro arsenali rischia di essere un sogno realizzato troppo tardi. Con bombe, testate, materiale radioattivo di qualità bellica presente in nazioni come il Pakistan, la Corea del Nord, presto l' Iran, ogni accordo suona alle orecchie di noi figli e ostaggi della bomba, come la bottiglia rinchiusa quando il genio evocato nei deserti del New Mexico se ne è già andato per sempre.
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