
Catturare il sole
da "La Repubblica" del 12/07/2009 (di Maurizio Ricci)
Sole per tutti. I padri fondatori sono Archimede ed Edison. Il progetto è figlio degli intellettuali del Club di Roma, da sempre attenti al problema della scarsità di risorse. I soldi sono, per ora, tedeschi. L' obiettivo è portare in Europa energia dal sole del Sahara.
La data in cui tutto dovrebbe avere inizio è domani. Si riuniscono a Monaco di Baviera una ventina di aziende dai nomi pesanti: Munich Re, Siemens, Deutsche Bank, E.On, Rwe, insomma, una fetta cospicua del gotha dell' economia tedesca. Il risultato dovrebbe essere la formazione di un consorzio che dia gambe al progetto - chiamato Desertec - mettendo sul piatto i primi investimenti di un piano che, alla fine, costerà la cospicua cifra di 400 miliardi di euro.
Il punto chiave non è l' idea, che non è nuova. Se ne è parlato anche a livello di governi: il «Piano solare» era il progetto preferito di Nicolas Sarkozy, al momento del lancio dell' Unione per il Mediterraneo, quando la Francia aveva la presidenza dell' Unione europea. La differenza è che il piano solare smette di essere solo un file di computer, qualche diapositiva di una presentazione PowerPoint, un paio di paragrafi nei discorsi di un ministro. Diventa arena degli interessi forti dell' economia.
Qui l' ecologia, l' energia pulita e la conseguente riduzione delle emissioni di anidride carbonica non sono un ideale, ma uno strumento. Munich Re, un gigante delle assicurazioni, si preoccupa delle polizze che coprono i danni creati dall' effetto serra. E.One Rwe, colossi dell' elettricità tedesca ed europea, cercano alternative efficienti al ventaglio di problemi creati dal carbone, dal gas e dal nucleare. Per la Siemens, che le infrastrutture per la produzione e la distribuzione di elettricità le costruisce, è semplicemente business.
Per chi crede che i meccanismi di mercato, una volta messi in moto, siano una forza assai più affidabile e potente dei disegni dei politici, la riunione di Monaco, se andrà a buon fine, è una svolta. Toccherebbe, dunque, alla vecchia «mano invisibile» di Adam Smith realizzare un' idea tanto grandiosa, quanto, al fondo, semplice. Secondo l' Institute for Energy, che lavora per la Commissione di Bruxelles, basterebbe lo 0,3 per cento della luce solare che cade sui deserti del Sahara e del Medio Oriente per soddisfare l' intero fabbisogno di energia dell' Europa.
Nessuno, tuttavia, pensa ad un' unica fantasmagorica megacentrale. Il progetto Desertec prevede la messa in opera di decine di centrali solari di medie dimensioni, in un arco che va dal Marocco alla Giordania. Quali centrali? È qui che entra in campo Archimede. Non si tratterebbe, infatti, di centrali a pannelli fotovoltaici, più costosi, meno adatti alla produzione su grande scala, più erratici nel rendere disponibile l' energia, ma di centrali a concentrazione termica. Si tratta di installare una platea di specchi concavi (in California, per abbattere i costi, stanno tentando di ottenere lo stesso risultato con specchi piatti) che riflettano e concentrino la luce solare in un punto. Con questo sistema Archimede ci bruciava le navi nemiche. Qui invece la luce si concentra su una cisterna: il liquido al suo interno si riscalda, bolle e il vapore che ne risulta viene utilizzato per muovere una turbina che genera elettricità, come in qualsiasi centrale convenzionale o nucleare. È una tecnologia già ampiamente sperimentata, dalla California alla Spagna: anche l' Italia sta avviando una piccola centrale di questo tipo in Sicilia.
Usando nella cisterna, invece di acqua, una miscela di sali fusi, si riesce a conservare il calore e a far girare la centrale di notte, anche se l' obiettivo delle 24 ore su 24 non è ancora stato raggiunto.
I costi, man mano che la tecnologia si diffonde, stanno scendendo rapidamente. Già oggi siamo a meno di dieci centesimi di euro per kilowattora. I tecnici di Desertec calcolano che un boom delle centrali solari termodinamiche, come quello che verrebbe suscitato dal progetto, creerebbe economie di scala, sufficienti a spingere il costo del kilowattora a 4-5 centesimi. A ridosso del carbone e al di sotto del nucleare.
Nel progetto Desertec, parte dell' elettricità prodotta verrebbe utilizzata nei Paesi d' origine (ad esempio, nei dissalatori) e una quota verrebbe esportata in Europa. Una volta completato il progetto - e spesi quattrocento miliardi di euro - l' Europa si assicurerebbe dal Sahara il 15 per cento del suo fabbisogno energetico. Già dal 2020, tuttavia, l' Europa, spendendo intorno ai quaranta miliardi di euro, potrebbe disporre di venti gigawatt di energia, che corrispondono ad un terzo del fabbisogno complessivo italiano: venti Gw sono, comunque, l' equivalente di venti centrali convenzionali o nucleari.
Ma vale la pena di produrre elettricità nel Sahara per trasportarla fino in Europa? Dopo Archimede, è questo il momento di Thomas Edison. Noi, oggi, trasportiamo elettricità a corrente alternata. Ma è più frutto del caso che di una migliore tecnologia. Edison sosteneva che la corrente diretta fosse più efficiente. Nikola Tesla (e la Westinghouse) erano per la corrente alternata. Vinse Tesla, per il semplice motivo che, al momento della disputa (fine Ottocento), esistevano già trasformatori per ridurre la tensione degli elettrodotti a corrente alternata e distribuire l' elettricità nelle case, ma non per la corrente diretta. Oggi assistiamo alla vendetta di Edison. La corrente alternata (dove la direzione del flusso si inverte più di cento volte al secondo) ha una dispersione più alta. Su un tragitto di mille chilometri, un elettrodotto a corrente alternata perde il dieci per cento dell' energia che trasporta. Di più se corre sott' acqua o sottoterra. Su un tragitto di mille chilometri, invece, un elettrodotto a corrente continua perde solo il tre per cento dell' energia. Trasportare elettricità dal Sahara in Germania comporterebbe una perdita del 10-15 per cento dell' energia trasportata. Una perdita, dicono quelli di Desertec, ampiamente compensata dalla maggiore energia prodotta rispetto a centrali collocate in Germania.
Le ore di sole, nel Sahara, sono 1.800 l' anno, il doppio dell' insolazione del Nord Europa. Insomma, una raggiera di centrali nel deserto, collegata da grandi elettrodotti (in parte già previsti indipendentemente, come fra Italia e Tunisia) a snodi in Europa, da cui l' energia verrebbe ridistribuita nel territorio. Ma possiamo fidarci, per alimentare le lampadine di casa, di Gheddafi? Visto che, già oggi, ci fidiamo di Putin e Yushenko e del gas che arriva a singhiozzo dall' Ucraina, la scommessa non sembra troppo azzardata.
Inoltre, anche un blackout totale di questo quindici per cento del fabbisogno che arriva dal Sahara potrebbe essere gestito, senza catastrofi, dall' attuale sistema elettrico, dove già esiste un cuscinetto di emergenza del venti per cento. Al contrario, una volta stabilito il - non facile - principio di produrre lontano l' energia che ci serve e poi gestirla e distribuirla collettivamente in Europa, il progetto Desertec è, forse, fin troppo timido.
A pianificare più in grande ci ha pensato Gregor Czisch, un esperto dei sistemi di energia dell' università di Kassel (ancora in Germania). Il suo piano non è in contrapposizione a Desertec. Ne è piuttosto un complemento, che ne allarga il respiro geografico e tecnologico. Potremmo chiamarlo Desertec 2. Dice Czisch: perché limitarsi alle centrali solari? La costa atlantica del Maroccoe alcune aree del Medio Oriente offrono ottime potenzialità di energia dal vento. Anche queste turbine dovrebbero entrare nella SuperRete immaginata dal progetto Desertec. Soprattutto, dovrebbero entrarci le rinnovabili europee. Tutte le pale e le turbine che ci sono e ci saranno sempre più sulla costa atlantica europea e nel Nord Europa, fino agli Urali. Più le tante centrali a biomasse delle regioni boscose e le idroelettriche di quelle di montagna. Immaginare l' Europa come un unico grande sistema elettrico consente di superare d' un colpo quello che, oggi,è il più grosso handicap delle energie rinnovabili come il sole e il vento. Le centrali solari producono energia quando c' è sole. Le turbine eoliche, quando c' è vento. Niente sole, niente vento, niente energia. Ma il sole e il vento, da qualche parte, ci sono sempre. Se non c' è vento in Danimarca, ce n' è in Biscagliao in Marocco. Il problema è renderlo disponibile in Danimarca, attraverso una SuperRete. Il progetto di Czisch prevede anche un cuscinetto d' emergenza. L' energia in eccesso prodotta dalle centrali solari o eoliche (quando, cioè, c' è troppo vento o troppo sole rispetto alla domanda) potrebbe essere utilizzata per ricaricare le centrali idroelettriche delle Alpi, ritrasportando in alto l' acqua, da far ricadere poi a valle, per muovere le turbine, nel caso di un inatteso picco della domanda. Il progetto di Czisch è, per ora, solo un' utopia custodita nel suo computer. Le simulazioni dello stesso computer hanno, però, un riscontro molto concreto. Una simile SuperRete, organicamente e collettivamente gestita, consentirebbe di soddisfare l' intero fabbisogno di un' Europa sempre più affamata di energia. Tutto con le rinnovabili: niente carbone, niente gas, niente nucleare. Il conto? Salato: 1.500 miliardi di euro.
Come al ristorante, però, non bisogna solo guardare la cifra in fondo. Secondo l' Agenzia internazionale dell' energia, entro il 2030 il mondo dovrà comunque spendere 13.600 miliardi di euro nella costruzione di nuove centrali elettriche. Dei 1.500 miliardi di euro stimati da Czisch, 1.400 servirebbero per la costruzione di centrali che, probabilmente, dovrebbero essere costruite lo stesso, a carbone, a gas, nucleari. O, appunto, solari od eoliche. Il costo effettivo della SuperRete necessaria per collegare le centrali del suo piano è assai più maneggevole: 128 miliardi di euro.A volte, se si pensa davvero in grande, anche i grandi problemi diventano più piccoli.
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