mercoledì 1 luglio 2009

Securitisation

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"Il "buco nero" che ha risucchiato la finanza mondiale partendo dai mutui subprime ha la sua origine in un meccanismo chiamato cartolarizzazione. Il suo nome inglese però è più divertente. Si dice securitisation. Nel gergo finanziario, security designa un'ampia categoria di titoli solitamente obbligazionari. Ma nel linguaggio comune significa sicurezza. Un'ambivalenza piena di involontaria ironia. Capire questo fenomeno della cartolarizzazione non è difficile. Bisogna partire dall'abc del mestiere bancario.

Un tempo gli istituti di credito generalisti svolgevano un ruolo piuttosto banale. Da una parte i risparmiatori gli affidavano dei depositi. Le banche commerciali remuneravano questi fondi con un interesse e li usavano per fare prestiti dal rendimento assai maggiore. Il loro profitto nasceva dalla differenza tra questi due tassi, la rendita dell'intermediario. Un mestiere tranquillo? Salvo il rischio che i debitori non paghino più gli interessi o, peggio ancora, non restituiscano il capitale. Perciò la professionalità del banchiere era nel saper valutare l'indice di rischiosità del cliente: impresa, commerciante, consumatore. E nel farsi dare garanzie reali: dei titoli o un'ipoteca sulla casa, sull'azienda, sul negozio. In questo modo però l'attività delle banche era limitata, perchè dovevano stare attente a non esporsi troppo sui rischi. Dovevano mantenere un certo equilibrio prudenziale tra la massa dei depositi raccolti fra i risparmiatori (che possono ritirarli senza preavviso) e la massa dei fondi prestati ad altri soggetti. La capacità del vecchio banchiere di offrire nuovi prestiti dipendeva dalla regolarità con cui recuperava i crediti precedenti. Negli anni Settanta - l'inizio della corsa all'innovazione finanziaria - la cartolarizzazione cambiò le cose. Con questo accorgimento la banca che presta a un cliente non si tiene la "proprietà" di quel rapporto di credito. Prende il suo diritto di credito, lo unisce insieme a tanti altri, e impacchetta tutto in un titolo finanziario che vende sul mercato. Quel titolo ha le caratteristiche di un'obbligazione: offre un rendimento, che è la somma delle rate di rimborso degli interessi da parte di tutti i debitori "sintetizzati" in quel pezzo di carta. A quel punto i debitori non rimborsano più la banca: i loro pagamenti d'interessi vanno ai proprietari delle obbligazioni, dei bond. La banca cosa ci ha guadagnato? Anzitutto non deve più aspettare ill ento risarcimento degli interessi: si è già sbarazzata del suo rapporto col debitore, ha incassato liquidità immediata dalla vendita dell'obbligazione, può usare quel capitale per attivare nuovi prestiti. Si è anche liberata del rischio insolvenza, scaricandolo sui proprietari delle obbligazioni.

Il meccanismo della cartolarizzazione è stato esteso e moltiplicato, con infinite variazioni, in un crescendo di complessità e sofisticazione. E' uno degli ingranaggi elementari che stanno dietro l'esplosione del capitalismo finanziario. Karl Marx nel Manifsto del Partito comunsita (1848) esortò i proletari del mondo intero a "liberarsi dalle loro catene": un secolo e mezzo dopo quell'appello è stato raccolto con entusiasmo dai nostri banchieri. Sono loro a esersi liberati dalle catene, cioè dai vincoli dell'intermediazione creditizia tradizionale. Il loro potere di espandere il credito si è dilatato a dismisura. Nella convinzione diffusa che i rischi di insolvenze e di crac si stessero riducendo. Perchè la cartolarizzazione serviva a "spalmare" quel rischio su una platea vastissima di investitori.

Dunque, mentre nel piccolo mondo antico l'improvviso fallimento della grossa azienda A poteva mandare a gambe all'aria la banca B che le aveva erogato prestiti sostanziosi, adesso quel fallimento diventava molto meno destabilizzante perchè i prestiti erano stati spezzettati, triturati, rivenduti a migliaia o addirittura milioni di investitori. In caso di perdita il dolore doveva essere infinitesimale, omeopatico.

E' vero che la cartolarizzazione ha avuto degli aspetti positivi. Fino a un certo punto l'espansione del credito può essere benefica. Un esempio attuale. Costruire una centrale eolica, che genera energia pulita e rinnovabile usando la forza del vento, è un investimento di lungo periodo che pochi imprenditori possono pagare di tasca propria. Ma anche per una singola banca può essere rischioso impegnarsi in un credito decennale o ventennale per un progetto simile.
Se il rischio viene ripartito fra molti finanziatori, l'energia verde troverà più facilmente i capitali che le servono.

Il cosidetto "project finance" è servito a realizzare importanti infrastrutture al servizio del pubblico, laddove gli Stati stessi non avrebbero potuto finanziarle da soli a causa delle loro ristrettezze di bilancio.

Un altro esempio. Siamo abituati a considerare come "finanza buona" il venture capital, quello che nella Silicon Valley californiana va continuamente a caccia del prossimo Bill Gates, della futura Google. E' un capitale di rischio che sostiene l'innovazione, la creatività. E' un motore di ricchezza e di occupazione in settori avanzati, dalla ricerca biogenetica alle energie rinnovabili. Ma attenzione: i protagonisti del venture capital muovono centinaia di miliardi di dollari all'anno che non possono venier tutti dalle loro tasche. Una parte di quei fondi provengono dalla finanza "cattiva" come gli hedge fund. Dunque, non è facile tracciare il confine tra quella finanza che serve a sostenere l'economia reale e quella che invece la vampirizza succhiandole il sangue. Quel che è certo è che il rapporto tra le due si è squilibrato mostruosamente negli ultimi decenni.

L'illusione di ridurre la rischiosità del credito "spalmandola" sull'universo dei mercati attraverso la cartolarizzazione ci ha riservato delle sorprese drammatiche. In realtà i rischi hanno finito per accumularsi. Ignari risparmiatori europei hanno scoperto di avere comprato fondi comuni d'investimento apparentemente solidi, in realtà infarciti di "titoli strutturati" che rappresentavano mutui immobiliari erogati a famiglie americane nullatenenti. La piaga della malafinanza è stata ingigantita per un altro conflitto d'interessi: quelle agenzie di rating che davano i voti di "solidità" alle obbligazioni e, nel contempo, venivano remunerate da chi creava le obbligazioni stesse."
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da "Le dieci cose che non saranno più le stesse" di Federico Rampini

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